ASSOCIAZIONE CULTURALE EREDI DELLA STORIA
Molfetta
DOTT. MICHELE SPADAVECCHIA - Presidente
Dott. NICOLA BUFI
AVV. GADALETA
SERGIO RAGNO
FRANCESCO GRANDE
DARIO RUGGIERO
PASQUALE GADALETA
In data 8 novembre, alle ore 18,00 a Molfetta presso la
Fabbrica S. Domenico (nei pressi del porto) l’Associazione Culturale Eredi della Storia presenterà il saggio:
“KOS Una tragedia da non dimenticare”
Un opera letteraria che ricalca la tragedia di Cefalonia.
Autore: Col. Pietro Liuzzi
GLI “EREDI DELLA STORIA”:
UN’ASSOCIAZIONE CULTURALE DI MOLFETTA
Presentazione
Il tema di questo studio concerne
l'importanza di conoscere il proprio retaggio, le proprie radici, il mondo, non
solo fisico, geografico, ma soprattutto quello culturale, emotivo, storico, che
dovrebbe far parte del nostro bagaglio formativo
È stato ben scritto che senza le radici del passato non si costruisce il
futuro.
Tramandare la storia è la nostra
finalità. Se l’associazione Eredi della Storia continua ad occuparsi della
promozione culturale è per la sua dimensione educativa, perché una città che
dimentica i suoi cittadini e la sua storia, è una città senza radici e senza
anima.
L'attività culturale diventa allora
il "principio generativo" di relazioni, stile di vita, comportamento,
dialogo, partecipazione.
La costituzione di questa
Associazione è il frutto della passione per la ricerca storica, di quegli
avvenimenti complessi che hanno caratterizzato il difficile cammino dell'Italia
e che coinvolgono la nostra città..
Oggi la presenza degli Eredi della
Storia nella comunità di Molfetta non può esaurirsi solo in funzione di
promozione commemorativa e celebrativa delle ricorrenze storiche.
Deve poter contribuire a dare
risposta a quelle domande profonde che ci pongono le nuove generazioni: dare un
senso al passato, alle gesta di quei uomini nati prima di noi, che vittime
delle circostanze e della guerra, non hanno avuto la possibilità - a differenza
nostra - di vivere la loro giovinezza in modo sereno.
Presentare al pubblico tematiche a
sfondo storico, riguardanti un arco temporale che va dai primi anni dal 1900 al 1945, ha un duplice
risvolto: da un lato si offre la possibilità, a chi possiede vissuti
personali inerenti, di poter rammemorare ciò che è stato (vicende, persone,
passioni, tragedie, luoghi, situazioni .. ); dall'altro si consente alle
nuove generazioni di approcciarsi
a spaccati di vita sociale (secondo le componenti politiche, belliche, lavorative,
tradizionali ...) sconosciuti o parzialmente noti, desunti dalla lettura
di pagine dei testi scolastici.
Ed è in quest’ottica che con cadenza
annuale presentiamo questi nostri lavori:
essi sono il frutto di ricerche e di
lavoro manuale, un impegno profuso per dar vita a mostre e convegni organizzati
dai membri dell’associazione con l’insostituibile collaborazione degli anziani
delle varie associazioni combattentistiche, che condividono i loro ricordi, ma
anche con il contributo dei cittadini che donano documenti, foto, cimeli
ereditati dai loro cari.
Ma le nostre ricerche coinvolgono
anche i docenti e studenti delle Scuole Elementari, Medie e Superiori che dalla
Macrostoria studiata sui libri di scuola vogliono tuffarsi nella microstoria
della loro città e nei luoghi che hanno visto protagonisti i nostri nonni,
parenti, concittadini.
Il progetto è quello di “fare storia”,
cioè seguire un percorso che ha origini dalla storia locale per poi ampliarsi
in un contesto nazionale ed internazionale. La microstoria, che vede come
protagonista la gente comune che deve affrontare i problemi quotidiani, inserita
in un contesto storico più ampio e generale, troppo spesso disseminato di
eventi terribili quali la Guerra di Libia (italo‑turca), l'epidemia del
colera, la Grande Guerra, il secondo conflitto mondiale, il ventennio fascista,
la caduta della monarchia.
Le basi del nostro studio saranno
quindi queste: raccontare il rapporto che lega i molfettesi alla loro città e
alle loro origini, soprattutto l’identificarsi nella comunità, attraverso
quelli che sono gli elementi comuni: la storia, il mare e le associazioni che
si occupano, coltivano e promuovono la cultura molfettese.
Raccogliendo alcuni degli articoli
più significativi pubblicati sui periodici della città (alcuni redatti da noi) si offre la possibilità di seguire le attività
dell’Associazione e conseguentemente ripercorrere le vicende storiche di
Molfetta e le tappe della sua trasformazione dal ‘900 ad oggi.
Elemento fondamentale e contributo
straordinario per arricchire e
completare questo percorso di studio è l’opera letteraria “Mar comune” scritto da Guglielmo Minervini:
un cittadino molfettese che proprio
come il sottoscritto e gli altri amici e collaboratori dell’associazione,
avverte l’impulso spontaneo di partecipazione alla cosiddetta
società civile, ricercando
quell’identità che è possibile trovare amando e condividendo le
proprie origini e la propria storia.
L’opera di Minervini è un valido
strumento di riflessione e conoscenza della storia di Molfetta
Un libro fatto di uomini e di date,
ma è anche lo specchio della realtà vissuta dalla città in oltre un millennio. Un saggio che
spinge a riflettere sul legame che hanno gli uomini con la propria terra, con
la comunità ma anche sul sacrificio e sul dolore degli stessi uomini quando devono lasciarla.
Si perché il popolo molfettese è
fatto di pescatori, navigatori ed emigranti.
Loro, forse più degli stessi
cittadini, sono in grado di apprezzare la terra che li vide partire.
Sta a cuore a Minervini, come sta a cuore a ciascuno di noi, il
grande patrimonio storico architettonico, di idee e di esperienze di Molfetta:
ne siamo responsabili in ogni momento e siamo chiamati a salvaguardarlo e
comunicarlo ad altri, affinché possa generare nuove energie e nuove opportunità
per le comunità locali.
E’ un atto di amore di un cittadino
verso la sua città che rischia il declino.
La storia locale è anche uno spaccato
del Mezzogiorno d'Italia, attraverso l'osservatorio privilegiato di un
«testimone del tempo» che cerca di cogliere le profonde contraddizioni del Sud
che ne hanno ritardato la crescita economica e sociale.
Corrado Germinario, discutendo la tesi dal titolo “La
molfettesita”, inizia il suo studio scrivendo:
“Mi
chiedo giorno dopo giorno da dove nasce questo irrefrenabile istinto di
difendere le proprie radici, questa voglia di andare fiero di un nome,
Molfetta, che sin dalle sue origini ha rappresentato cultura, innovazione e
apertura verso il prossimo. Mi chiedo se sia normale sentire continuamente quel
“sapore di molfettesità” e se sono io l’unico ad essere stato totalmente rapito
da questa dipendenza.”
Bene possiamo affermare che non è il
solo.
1 - Uno
sguardo al passato
1.1 - Molfetta nel '900
Era all'inizio del secolo la
Manchester pugliese, Molfetta. Verso il 1900, Molfetta, che ormai contava oltre
40.000 abitanti, era un prosperoso paese industriale, che andava orgoglioso dei
suoi pastifici, mulini a vapore, oleifici e laterifici, nonché di una
fiorentissima industria marittima con un attrezzassimo cantiere. Alcuni dati
sulle attività industriali della città indicano che nel 1925 Molfetta aveva 8
molini e pastifici, 2 cementifici, 1 fabbrica di gesso, 1 fabbrica di olio di
fosforo, 3 saponerie e fabbriche di silicati, 90 impianti per l'estrazione
dell'olio d'oliva, 1 fabbrica di ghiaccio, 1 centrale termoelettrica, 3
concerie e cinghifici, 1 panificio e biscottificio, 5 cantieri navali con scalo
di alaggio per navi mercantili, 3 fonderie, 1 ferriera, 2 fabbriche di letti,
120 coppie di paranze, oltre 100 barche con relative manufatturazione ed
esportazione di reti da pesca, varie corderie, 2 industrie pirotecniche, 12
cave di pietra calcarea da taglio, circa 50 fornaci di calce (calcare), 10
impianti per la lavorazione della pietra, 3 fabbriche di mattonelle e manufatti
di cemento, 1 fabbrica per cultura ed esportazione di legnami di Carinzia, 12
fabbriche per la lavorazione di legnami e fabbriche di botti, 3 calzaturifici,
1 pettinificio.
Nei cantieri navali, i maestri
d'ascia costruivano e riparavano le paranze, con le quali i marinai solcavano
il mare Adriatico, osservando antichissime usanze. Erano i marinai in gran
parte analfabeti e non si interessavano alla vita Politica e civica.
Usufruivano di due società di mutuo soccorso: i figli del mare e lavoratori del mare.
La popolazione contadina era divisa
in quattro classi: braccianti, massari proprietari, fittavoli. Senza dubbio la
vita più faticosa era quella dei bracciani che lavoravano per circa 150 giorni. In estate e in autunno i
braccianti si trasferivano in Capitanata e si occupavano della mietitura e
della vendemmia o lavoravano nelle saline. Fiorente era il commercio dell'olio
d'oliva, il cui primato veniva conteso tra Bitonto e Molfetta. il commercio
delle mandorle era accentrato a Molfetta e il prodotto veniva esportato in
Germania e Inghilterra. Durante il periodo di agosto - dicembre le donne
venivano impiegate nella sgusciatura delle mandorle. Estesi erano i vigneti.
Dai vitigni bassi, i più comuni, i ricavava vino altamente alcolico tra cui
l'aleatico e la verdera, i quali erano molto apprezzati dai commercianti
francesi. i bottai avevano davvero un gran daffare. Molto richiesti erano gli
ortaggi: negli orti della fascia costiera venivano coltivati pomodori, che
irrigati con l'acqua salmastra, erano particolarmente saporiti, da essi si
ottenevano ottime salse e conserve. Verdure, melanzane e peperoni erano
ricercatissimi ed erano esportati in Austria e Germania.
Anche quella degli artigiani era una
classe in ascesa nella Molfetta di quel tempo.
Nei primi vent'anni Molfetta subì
delle forti epidemie; queste, insieme ad alcune calamità naturali, fecero
diminuire la sua popolazione. Nel 1910 scoppiò
un'epidemia colerica, che portò alla morte di 1025 persone.
Un grave problema per lo sviluppo
economico molfettese era la mancanza di acqua che portò alla diffusione di
gravi malattie.
La popolazione, comunque, continuava
ad espandersi. Le condizioni di vita della città erano migliorate, soprattutto
con l'installazione dell'Acquedotto Pugliese e la conseguente erogazione
dell'acqua potabile alla popolazione molfettese. Ciò avvenne nel 1914. L’acqua,
questo preziosissimo elemento, fonte di vita e di progresso, ancora oggi in
crescente richiesta e decrescente disponibilità, veniva attinta dal lontano
fiume Sele. Grazie soprattutto alle rimesse degli emigranti molfettesi
all'estero (particolarmente nel Venezuela e Stati Uniti) si poteva
controbilanciare la mancanza di industria, che poi si identificava
essenzialmente con l'artigianato locale.
Tra le due guerre mondiali le
industrie iniziarono un lento processo di riconversione e molte chiusero i
battenti. Ciò causò una violenta crisi, il commercio oleario si spostò a Bari e
quello delle mandorle a Terlizzi. La forte crisi economica causò un elevato
tasso di disoccupazione e la chiusura di alcuni pastifici. Nonostante gli aiuti
che il comune offriva ai disoccupati, la povertà portava a saccheggi di
pastifici e negozi. L’emigrazione raggiunse le punte massime tra il 1911 e il '20.
Nel 1921 i marinai con i proprietari - armatori di bilancelle fondarono
l'Alleanza Mutuo Cooperativa che con i soldi ricavati dal versamento
settimanale di £ 5 per ogni persona iscritta, aiutavano i soci colpiti da
invalidità, vecchiaia, infortuni sul lavoro, malattia.
Nel ventennio fascista sorsero nuovi
quartieri come: Immacolata, Sedelle, Cappuccini e Stazione. Vennero costruiti
il Mercato ittico all'ingrosso, la Scuola Professionale Marittima per la
preparazione dei padroni marittimi e dei meccanici navali, l'Istituto
Magistrale. La flotta peschereccia divenne prima dei basso Adriatico. Nel 2' conflitto mondiale molti pescherecci
furono requisiti e adibiti al dragaggio delle mine e ad altre rischiose
operazioni militari. I marinai molfettesi, insieme ad esercito ed aviazione,
dettero un elevato contributo di sangue alla patria; primo molfettese a cadere
fu Michele Fiorino decorato con medaglia d'oro.
Quando il conflitto terminò, Molfetta
era economicamente prostrata: l'impulso industriale della città si affievolì
sensibilmente, tanto da identificarsi essenzialmente con il solo artigianato
locale: numerosi erano i disoccupati, ci fu il collasso dell'economia cittadina
che vide gli otto pastifici del '36 ridotti
a due nel '46 e l'attività edilizia
completamente ferma. i disoccupati, tenuti a freno con i fondi elargiti loro
dalla Prefettura e con i lavori di sistemazione delle vie interne, promossi con
i fondi stanziati dal Comune. Con la formazione degli Uffici comunali di
collocamento e l'istituzione dei cantieri di lavoro, in città iniziò lentamente
la ricostruzione economica; l'edilizia si riprese con l'attuazione dei piano di
programma INA Casa e la ricostruzione di Foggia, gravemente danneggiata dai
bombardamenti alleati, che impegnò 370 lavoratori, stuccatori e costruttori che
facevano i pendolari, alleggerì la disoccupazione cittadina.
Con le prime rimesse dei molfettesi
emigrati, sorsero dal 1950 in poi, moltissimi palazzi moderni, dotati di ogni
comodità e conforto, nonché interi quartieri, come quello ad est della città.
Con il boom economico degli anni '60, l'artigianato cittadino riprese a
fiorire, dando un apporto considerevole alla rinascita industriale, che, con
l'apporto del sempre affidabile
commercio marittimo del porto di Molfetta, gettava le premesse per una
industria locale più fiorente, assicurando alla città ed ai suoi figli un
futuro economico più tranquillo.
Tradizionalmente, e storicamente, i
due settori di attività cittadina più fiorenti sono considerati l'agricoltura
ed il commercio marittimo. Oggi, con i profondi cambiamenti apportati dalla
tecnologia moderna nello sfruttamento della campagna, il volto della Molfetta agricola
è radicalmente cambiato, anche se l'agricoltura, quantitativamente, impiega
ancora un predominante numero di lavoratori locali. Su ancora solide basi,
invece, si mantiene il movimento marittimo, ruotante attorno al porto
cittadino, che le statistiche qualificano come uno dei più fiorenti del Paese,
ed addirittura di prominenza assoluta per la pesca nel basso Adriatico. Oltre
all'agricoltura, alla pesca e commercio marittimo, a Molfetta si svolgono
svariate altre attività industriali, alcune di notevole interesse commerciale.
Fra queste, il calzaturificio, l'oleificio, il laterizio, e soprattutto,
l'artigianato locale.
Geograficamente, Molfetta, con una
popolazione di circa 68.000 abitanti, si estende su una superficie di
circa 60 Km, risultando di una densità di circa 1.100 abitanti per Km quadrato.
La città è situata ad una media di 15 metri sul livello del mare. Bagnata dal
Mare Adriatico, Molfetta dista dal capoluogo Bari 25 Km, e da Foggia 98 Km. Le
città limitrofe sono Bisceglie (da cui dista 10 Km), Terlizzi (da cui dista 9
Km), e Giovinazzo (da cui dista 7 Km).
Oggi Molfetta si presenta come una
tipica città del meridione d'Italia degli anni '90. Una popolazione, quella
molfettese, che, attraverso i secoli, è stata, con accenti più o meno forti,
contagiata da usi, costumi, e cultura dei diversi gruppi etnici che si sono
avvicendati attraverso i secoli; fra questi i greci, i romani, gli arabi, i
saraceni, gli spagnoli, i normanni, i tedeschi, e i francesi. Ai molfettesi si
deve attribuire la genialità di aver saputo captare da ognuno di questi gruppi
gli aspetti più significativi del loro bagaglio culturale sociale, per poi
poterli trasformare e plasmare in attributi congeniali al proprio indirizzo e
retaggio storico‑culturale e "modus vivendi".
1.2 - Il centro storico
Dal 1900 al 1950 si costruirono a Molfetta nuovi quartieri e, piano piano, l'antico
borgo, le vecchie case vennero abbandonate al loro destino.
Il Centro Storico visto dall'alto
aveva assunto le sembianze spettrali di un quartiere bombardato. I duemila
residenti del 1964 sono ridotti a poche centinaia, di cui grande parte
sfrattati o comunque in condizione di grave precarietà. Ora il processo di degrado
sembra contagiare anche le ampie zone storiche sei - settecentesche limitrofe
al quartiere medievale, che vanno impoverendosi di funzioni, residenze e
attività economiche. In seguito c’è stata una rinascita di interesse per
Molfetta vecchia: alcuni palazzi vennero ristrutturati, si ritornò ad abitare
in essi, ma accanto ad un centro congestionato si vanno progressivamente
affiancando periferie vecchie e nuove con scadente qualità sociale e urbana.
1.3 - Il Molfettese di un tempo
Come era diverso il Molfettese
dell'inizio del secolo! Nel rileggere alcuni brani riguardanti la vita dei
nostri predecessori, abbiamo notato che le abitudini, i ritmi di vita, i
divertimenti hanno subito netti cambiamenti. E non sempre in meglio!
Un tempo tutta la famiglia si riuniva
attorno al fuoco ed ognuno rivelava il proprio stato d'animo, i propri
pensieri, le proprie emozioni agli altri. Con occhi incantati i più piccoli
seguivano la fantastica danza delle monachine nel camino, ascoltavano attenti
gli adulti parlare di fiabe, favole, storie ... finché il sonno non faceva
ciondolare loro il capo.
Il tradizionale calzone consumato,
quasi religiosamente, alla sagra della Madonna della Rosa, nella celebrazione
della mezza, quaresima; la secolare battaglia contro la siccità dell'agro
molfettese; l'indissolubile rispetto delle tradizioni cittadine; il “Conzasiegge”
religiosamente “consumato” durante la processione di Cristo Morto; la fede
indistruttibile, la coesione granitica, verso l'unità della famiglia; l'amore
pio per i genitori; la tragedia per un posto di lavoro; il profumo dell'aria
satura di salsedine marina del suo litorale; i quartieri tradizionali della
città e, soprattutto, “ind'a la Terre”
Oggi invece ci chiudiamo in noi
stessi e, rannicchiati davanti alla TV, mangiucchiamo annoiati un pezzo di
pizza congelata e ... il silenzio è d'obbligo: guai a chi parla!
Si sono ormai perse quelle regole
che, tramandate oralmente di generazione in generazione, scandivano le giornate
dei nostri bisnonni.
Oggi la vita s'è fatta nevrotica,
ricca di regole formali se non insulse. Noi, Molfettesi di oggi, abbiamo, amici
inseparabili: la fretta, il cellulare, la macchina, il walkman, il computer, il
consumismo. E la ... noia! L:insoddisfazione! Preferiamo la compagnia degli
oggetti succitati a quella dei nostri simili, viviamo gli eventi non più di
persona, ma virtualmente grazie ai mass‑media. Certo, abbiamo molto da
imparare dalla lettura di pagine cariche di ricordi, dalle descrizioni di vita
paesana ... vita parca, essenziale.
2- Mar comune, una città del sud
2.1 - L’autore
Guglielmo Minervini, nato nel 1961 è
sposato e ha due figli, Camilla e Nicolo.
E' professore di Informatica nelle
scuole superiori e Direttore Editoriale della casa editrice la Meridiana.
Si batte per il riconoscimento dei
diritti degli obiettori di coscienza, pubblicando sul tema: L'abbecedario
dell'obiettore (1991);
L'antologia dell'obiettore (1992).
Promuove la nascita della cooperativa
“La Meridiana”, oggi impresa protagonista del panorama editoriale nazionale,
impegnata sul fronte della pedagogia, del pacifismo e del cattolicesimo
democratico.
Dal 1994 al 2000 è sindaco di
Molfetta, il primo sindaco appoggiato dalle sinistre dopo molti anni.
Racconta i primi anni di questa
avventura nel libro Mar Comune (1997)
Nel 2000 riceve il premio nazionale
“Luciano Lama” conferito ai sindaci delle migliori amministrazioni comunali.
Tra i fondatori del movimento
nazionale Centocittà, ha contribuito alla nascita dei Democratici e della
Margherita. Di entrambe è stato coordinatore regionale;
Crede nella politica come
protagonismo sociale e come responsabilità non delegatele: la realtà può
cambiare solo se ognuno fa la sua parte fino in fondo. È per questo che accetta
la sfida politica delle Regionali 2005, al servizio delle persone che chiedono
e meritano una Puglia migliore.
E' eletto al Consiglio Regionale con
7556 voti, risultando il più suffragato della provincia di Bari.
Per Minervini l’amore per i propri
luoghi non è quindi retorica, ma concreto dovere civile, testimoniato anche dal
suo passato che lo ha visto fin da giovanissimo impegnato nel mondo del
volontariato, dalla parte dei bambini e delle donne del centro storico di
Molfetta.
Fonda la Casa per la pace (1985) e
diventa consigliere nazionale di Pax Cristi.
La pace, un tema assai caro anche ad
un altro protagonista della storia di molfetta molto vicino a Guglielmo
Minervini: Don Tonino Bello
Infatti sempre nel 1985 al nostro
Vescovo viene affidato il ruolo di guida di Pax Christi, associazione cattolica internazionale per la pace
ancora oggi protagonista del movimento internazionale contro la guerra.
2.2 – “Una città del Sud”
:
un amore per la città
Il mare: una delle poche cose certe
nella vita quotidiana di ogni molfettese. Assieme all’orgoglio di far parte di
una meravigliosa storia: la storia di Molfetta.
“Mar comune. Una città del Sud”
scritto da Guglielmo Minervini, attualmente assessore regionale alla
trasparenza ed alla cittadinanza attiva, che nel 1997 ha tentato di raccontare
la nostra città ritrovando lo spirito delle origini. La città riscoperta come
luogo del bene comune, spazio ed espressione di amicizia, di fraternità, di
legami famigliari, di pace. Lo spirito paesano, lo spirito cittadino.
Insomma, una città è comunità, ma anche il suo luogo unico, specifico,
irripetibile. E’ l'una e l'altro. E’ l' insieme di «vincoli territoriali, di
dialetti, di parentele, di vicinato, di origine, di tradizioni, di
appartenenze» ma anche «profondità temporale, identità paesistica, qualità
estetica, complessità sociale, economica, culturale»'. In questo senso la città
costituisce col suo territorio un «corpo inseparabile», per usare l'immagine di
un innamorato della città, Carlo Cattaneo. Questo è l'organismo vivente chiamato
a disporsi, con tutto il suo cumulo di memoria, dinanzi al futuro.
Di questi rapporti Minervini ci fa
vedere i chiaroscuri, ma non ha dubbi: se non si trasforma il mare in risorsa simbolica, politica ed
economica, nulla di veramente nuovo ci sarà a molfetta (ma noi potremo dire
anche in gran parte del mezzogiorno d’Italia)
Questi sono alcuni dei più
significativi pezzi del mosaico dell'habitat, fisico e culturale, del
molfettese.
Da questo scenario egli attinge la
forza morale e materiale per trovare l'energia necessaria per “terráie 'nnénze”,
per valicare le difficoltà all'apparenza insormontabili della vita quotidiana
e, soprattutto, per adoperarsi affinché le nuove generazioni possano sperare in
un mondo più sereno, più trasparente, meno contaminato.
2.3 - “Su chi parte e chi resta” : le due città
Minervini definisce Molfetta un
microcosmo complesso quanto un universo, sessantaseimila persone nel territorio e altrettante disperse
in ogni impensabile frazione del pianeta.
Si perché il molfettese è uno che
parte. La vicenda della città racconta di infinite partenze: pescatori,
navigatori ed emigranti.
Ma soffermiamoci su quest’ultimi, la
stragrande maggioranza degli emigrati molfettesi in America: essi provavano un
rispetto profondo e doveroso verso la terra d'adozione, ma un ricordo commosso
e nostalgico della terra natia.
Distribuiti in tre cicli migratori
(fine ‘800, anni ’20 e anni ’50 – ’60) i molfettesi che hanno lasciato la
città sono stai tanti quasi quanti ne sono rimasti. E se si considera che tra
quelli rimasti vanno conteggiati i marittimi allora diventa evidente cosa
intende Minervini quando in seguito ci parla del processo di modernizzazione di
Molfetta.
A Molfetta il tipico emigrante viveva
in un modesto appartamento, quasi sempre in affitto. Coloro che possedevano una
casa, acquistata con il guadagno del proprio lavoro, o per lo più ereditata da
genitori scomparsi, il più delle volte non si ponevano affatto il problema di
dover emigrare, poiché una casa era sempre una forte polizza di assicurazione
verso l'indipendenza economica della famiglia.
Egli emigrava solo ed esclusivamente
per motivi economici: infatti, a differenza di molti altri gruppi che
emigrarono in terra americana, il molfettese non era spinto ad emigrare da
motivi religiosi o politici (sì! c'era qualche caso politico del periodo
fascista, ma ciò certamente non faceva testo) oppure culturali e sociali.
Il bracciante smette la sua falce, l'artigiano i suoi attrezzi insieme
guardando al mare come orizzonte del possibile e alla città come una frontiera
ormai negata.
C'è la Molfetta che parte varcando le
frontiere del mondo o gli orizzonti del mare. E’ la Molfetta che sperimenta un
vissuto di indicibili lacerazioni, traumatiche separazioni, faticosi e caparbi
rincominciamenti. La
Molfetta degli emigranti e dei naviganti che si immergono nelle spinte più
incerte della modernizzazione globale
alla ricerca della soluzione al suo problema basilare e
secolare: il lavoro
Questo desiderio di cambiamento verso
quelle che erano le condizioni iniziali e tutte le privazioni e sofferenze
patite a Molfetta non lo
costringeva, però, ad anteporre in modo egoistico le ricchezze e i traguardi raggiunti al rispetto verso
i sacri legami per la sua terra, per la sua famiglia. Ogni sforzo
dell'emigrante molfettese, ogni suo sacrificio era sì indirizzato verso il
miglioramento economico di se stesso e della sua famiglia, nella ricerca di un
migliore tenore di vita,
però, nel frattempo, investivano i
loro risparmi nello sviluppo della loro terra d'origine, rimettevano una grossa
fetta dei loro guadagni comprando case, appartamenti e terreni a Molfetta.
Interi quartieri della città sono così stati costruiti! Un tributo magnanimo di generosità verso la terra natia! I molfettesi
emigrati hanno mantenuto sempre molto stretti i vincoli sia di carattere
storico, culturale, sociale sia, soprattutto, economico con il paese natio
[1]
.
Ciò avveniva con il flusso di rimesse a parenti o familiari rimasti a Molfetta
dei loro guadagni americani, nonché con le frequenti visite, specialmente nel
periodo pasquale e natalizio, ma soprattutto in occasione della festa della
Madonna dei Martiri, alla città natia. A quanto ammontasse questo contributo
economico verso Molfetta è impossibile dirlo, ma non è certamente azzardato
definirlo considerevole
Il principale produttore di ricchezza è fisicamente assente, costretto,
per la sua condizione, ad agire per delega, a ricorrere, cioè, a mediatori
familiari e sociali. La borghesia urbana si ridefinisce rispetto a questa nuova
opportunità di trasformare il reddito prodotto altrove in rendita fruita in
città.
Due città si divaricano vivendo esperienze e quindi interiorizzando
culture specularmente diverse.
Minervini individua in questo
divaricamento la causa che porterà poi alla riduzione del territorio da risorsa
produttiva a merce di consumo
La struttura sociale si impoverisce perché chi amministra la ricchezza
non deve misurarsi con chi la produce, se non per procura. Si genera una sorta
di vuoto di conflitto che, prolungato oltre una certa soglia, non può e indurre
specifiche attitudini parassitarie e generare irresistibili dinamiche
speculative.
E come se Molfetta avesse avuto come
principale fattore propulsivo del suo benessere un centro produttivo senza la
fabbrica, senza cioè la struttura materiale che genera concrete condizioni per
la costruzione di ricchezza. Questo centro produttivo è composto da un numero
sempre crescente di cittadini invisibili (pescatori, navigatori ed emigranti.),
come li chiama Minervini.
La Molfetta che resta gode della
perdita, ossia della fortuna prodotta dalla Molfetta che parte.
In questo contesto i mercati produttivi ben presto vengono surrogati dal
mercato unico e improduttivo dell'edilizia e gli imprenditori dai costruttori (ex-
emigranti, ex – commercianti) .
E mercato edilizio diviene una grande vasca di raccolta del denaro della
città. Le sue caratteristiche spiazzano qualunque altro mercato. Manipolare
mattoni, in breve, soppianta per convenienza qualunque altra attività imprenditoriale.
Garantisce una redditività di gran lunga superiore, ha bassissimi rischi
d'impresa, riesce a controllare la concorrenza, inoltre non ha conflitti
sindacali e può scaricare perfino i costi globali (si pensi ai costi necessari
per rendere vivibile un quartiere).
Eppure oggi si rischia di
dimenticare la lezioni di storia, e i drammi del passato sembrano dimenticati.
Secondo i dati dell’ultimo censimento, Molfetta ha perduto circa 5000 abitanti,
gente costretta ad emigrare nei paesi vicini per trovare un alloggio a prezzi più ragionevoli.
La ragione è presto spiegata nel
capitolo che segue, e trova le sue cause nella saturazione edilizia: Molfetta
con la sua vorace espansione urbanistica ha quasi del tutto esaurito il suo gia
esiguo territorio, proteso per sua stessa natura verso il mare.
2.4 – “Sulla Città senza qualità”:
degrado urbano e perdita del passato
È stato ben scritto che senza le radici del passato non si costruisce il
futuro.
La modernità ha reciso di netto il legame con il passato. Il
solo, tenue cordone ombelicale tra le due città è rappresentato dal ricordo
degli anziani, che, ahimé, si va sempre più affievolendo. Come afferma
Minervini
il rapporto «sacro» col territorio si deforma nel corso dei due decenni
'70 e '80 in un'orgia speculativa che ha pochi esempi analoghi. Scompaiono
sotto i cingoli delle ruspe pezzi costitutivi della bellezza della città,
dall'ottocentesco Palazzo Cappelluti al biscottificio «Pansini e Gallo»,
mentre vengono consegnati al degrado i quartieri memoria come il nucleo
medievale e il rione Catecombe.
Considerato che in un passato non
molto lontano la città si gloriava di edifici d'origine ottocentesca e
medioevale e di grande pregio artistico e che di essi non è rimasta traccia, è
da scoprirsi come una grande opportunità, non solo immobiliare ma anche di
economia locale il riscatto del Centro Storico.
E, a partire dal borgo medioevale, il cui recupero è ormai ben avviato
dopo decenni di abbandono, il ridisegno del cuore della città coinvolge l'intero
fronte‑mare urbano che, avendo recuperato il suo equilibrio ambientale, può
essere restituito alla fruizione: è la riappropriazione di uno degli elementi
più radicati, un vero archetipo, dell' immaginario della città, il riscatto dal
violento eppur silenzioso strappo che privò, nel culmine della modernizzazione,
la città della spiaggia più sua. E’ il segno che la bellezza comincia a
riprendersi ciò che mercificazione e inquinamento le hanno sottratto.
Lo sviluppo della città è stato
storicamente connesso alle funzioni svolte dal porto. Il ruolo del porto
peschereccio molfettese nell'ambito dell'attuale contesto adriatico e mediterraneo è, dunque, una questione
centrale da cui dedurre quali funzioni urbane può assumere il quartiere
medievale e l'intero Centro storico.
Inoltre, le scelte di regolazione
urbanistica generale che la città sta compiendo evidenziano nuovamente il
bisogno di riequilibrio tra l'espansione della città sostenuta dall'elevata
domanda del bene casa, e il recupero dell'esistente, altrimenti lasciato
nuovamente a processi spontanei di abbandono.
Ecco un senso meno alienante e violento da dare alla modernità: una
conoscenza non più predatoria verso l’ecosistema e verso le persona che innova,
migliorandola, la capacità di iterazione, cioè economia tra la comunità e il
suo ambiente
Ma a parte questo primo tentativo di rimpossessarsi del
passato e di ciò che era della comunità, sembra che nulla sia cambiato rispetto al ’97, data in cui Minervini
pubblica il suo libro. Nell'apparente
indifferenza generale infatti, è stato demolito l'ex Cantiere navale Tattoli.
Se ne è andato cosi un’altro dei simboli più conosciuti della storia della
cantieristica navale molfettese e l'edificio col profilo di nave non
accompagnerà più la vista del porto di Molfetta come ha fatto per gli ultimi
decenni. E' un avvenimento che avrebbe dovuto avere una qualche eco ma, tranne
la notizia su un paio di testate e complice forse l'approssimarsi della data
del ballottaggio, cosa che sicuramente focalizza l'intera attenzione dei
politici locali, nulla si è detto o fatto.
Forse tra un pò di tempo sentiremo qualcuno dolersi della cosa. Questo ci
ricorda la sorte di Palazzo Capelluti prima citato da Minervini, visibile ora
solo in qualche sbiadita cartolina, demolito per costruire una banale
palazzina. Sono state pubblicate alcune foto del cantiere e del nulla che ne
rimane.
2.5 –“ Sul profeta”:
un eroe dei nostri tempi Don Tonino Bello
Guglielmo Minervini, molto vicino a
don Tonino, ci parla di quest’uomo:
pacifista, nonviolento, poeta, ma
anche riformatore sociale del sud,
E’ stato poco nei ranghi, specie da vescovo. Scende in piazza con gli operai,
lotta con i marittimi, accoglie sfrattati e prostitute in episcopio,
solidarizza con i profughi albanesi, s’indebita (se stesso, non la diocesi)
fino all’ultimo capello per fondare comunità d’accoglienza, promuove petizioni
per lo sviluppo civile del suo territorio, gira di notte nelle zone d’ombra
della città raccogliendo ubriachi, matti e sbandati, litiga con gli
amministratori, denuncia l’impianto clientelare delle politiche sociali,
Inoltre ci racconta del suo rapporto
con la città, proprio lui che di Molfetta non era, è stato il primo a
denunciare seriamente il malessere che in
modo spesso maldestro, vogliamo rimuovere dalla nostra coscienza e del quale
poniamo fatica a prenderne atto, forse perché come spiega poco dopo lo straniero vede ciò che gli
indigeni non riescono più a vedere o forse
perchè troppo fieri del prestigio del nostro passato. Da non captare la
situazione di difficoltà in cui si trova Molfetta.
E la divaricazione torna a disegnarsi
nuovamente all'interno della città.
Le rughe di una nuova marginalità diffusa, che caratterizza la condizione
di chi non riesce a integrarsi nella città e nel contempo non può più nemmeno
partire, sono delimitabilii nel perimetro urbano, da Molfetta Vecchia al Rione
Catecombe, dalla Madonna dei Martiri alla nuova zona di edilizia pubblica, la
nuova arca «167. Da una parte il centro
storico, domicilio dei marginali figli della modernizzazione, dall'altra le
nuove periferie all'interno delle quali sono stati delimitati i nuovi
agglomerati popolari.
E con gli anni '80 il solco della frattura diventa profondo. E un osservatore
esterno, lucido e profetico, a coglierne i primi segni, a lanciare scomodi
messaggi di allarme, a elevare inquietanti denunce ad una città intorpidita
dalla sbornia di massiccio benessere.
Don Tonino Bello diviene vescovo nel
1982, quando ormai la “Molfetta per bene”, inizia ad accusare i sintomi dell’
inquietudine che si manifestavano appena nelle zone d'ombra, di una città
spavaldamente opulenta.
Sempre loro, gli ultimi, i poveri!
Già, perché don Tonino riteneva che costruire l'uomo vale infinitamente di più
che costruirgli la casa, e perciò intendeva sollecitare continuamente la classe
politica perché, diceva, «noi abbiamo il
compito di collaborare affinché la città esca dalla rete in cui si trova
prigioniera. Il vescovo ha il compito di rompere qualche maglia della rete
perché si esca fuori.
[2]
La scelta irriverente di don Tonino
sta proprio nella sua collocazione: non nel rassicurante salotto di
autocelebrazione, della città, ma nei suoi vicoli ristretti e angusti. Non si capisce cosa Molfetta stia vivendo
passeggiando per il Corso Umberto al mattino della domenica, ma attraversandola
di notte, semmai, nella regolare geometria delle «Camere Nuove».
Qui s'incontra una città che sta male, arranca, fa fatica. L'intensa
galleria di tipi umani, da Massimo il ladro, a Gíuseppe l'avanzo di,galera, da
Gennaro l'ubriaco, a Mohamed il marocchino, sono prove evidenti di una città
esclusa più che il campionario di fisiologici difetti di fabbrica.
Dal degrado
urbanistico a quello sociale, Minervini tratteggia uno spaccato di quelli che
sono i mali della città visti attraverso la sensibilità di Don Tonino Bello
La violenza: criminale, politica,
sociale perpetrata soprattutto sui soggetti più deboli;la solitudine: degli
anziani, degli ammalati, degli handicappati, dei carcerati, degli stranieri, di
tutti coloro che non trovano aiuto e comprensione; la corruzione: la droga, ,
la corruzione bianca ("quella che si insinua nella gestione sconsiderata
del denaro altrui, nelle scorrettezze amministrative, nella facilità allo
sperpero e allo spreco dei beni che sono di tutti, nelle diverse forme di
corruzione politica, di favoritismi e di clientele, di distribuzione ingiusta,
di situazioni di privilegi, di evasione dei gravi doveri sociali"). Uno
squallido consorzio. Così le città sono colpite a morte, ferite nelle loro
stesse motivazioni e nella loro stessa ragion d'essere.
E’quindi ecco i motivi dell'impegno
di don Tonino Bello per la classe politica della diocesi. La sua attività di
vescovo era anche per loro, per quelle persone interessate direttamente
all'amministrazione della "cosa pubblica". «Se uno mi chiedesse a bruciapelo dammi una definizione di quel che
dovrebbero essere i politici
[3]
», affermava don Tonino, «io risponderei
subito: Operatori di pace»3.
Ma il vescovo molfettese sapeva
altrettanto bene che gli uomini politici tutt'altro possono definirsi
all'infuori che operatori di pace, e perciò iniziò con loro un dibattito che
sul piano dialettico fu quasi sempre acceso ed intenso.
2.6 – “Mar comune”:
Passato e Futuro della città
La città, dopo i grandi processi di
modernizzazione che hanno per alcuni versi devastato il volto del mezzogiorno
d'Italia, si interroga sulle sue opportunità di futuro.
È possibile ancora fare qualcosa per
ricucire, sia pure simbolicamente, lo strappo tra le due realtà, passato e
presente, l’amore per i propri luoghi e l’incedere della modernità ?
Secondo Minervini cambia Molfetta solo se si modifica
l'immaginario. Se recuperano i tasselli del suo progetto costitutivo, memoria
dell' incessante sforzo di questa comunità per governare il suo territorio
ridotto come pochissimi altri nella provincia. Chiude, dunque, il primo
millennio della sua vicenda con il
medesimo problema delle origini: scarsità del territorio rispetto all'eccedenza
della sua popolazione.
Sulla soglia del nuovo millennio
Molfetta si riscopre un impasto, insieme la sua gente e il suo spazio di terra
e mare.
E confronto, dunque, continua, si apre al futuro. Ma una condizione: che
«Molfetta avrà la capacità di non perdere di vista il filo rosso della
continuità seguendo 1a quale i suoi abitanti le hanno dato in passato un senso
l'hanno resa unica e irripetibile»
Così se smarrisce la sua identità, la
città non ha più le coordinate di ricerca per il futuro in un contesto
radicalmente modificatosi.
Ecco per come spiega l’autore
in realtà la vera scommessa del futuro si gioca sulla memoria. E’ a
questa memoria che occorre attingere ancora una volta e con un’intelligenza
aperta e creativa , perché salvare il passato significa servire al presente e
al futuro.
E il passato non è quello unico, ultimo e brevissimo.. il passato è la
lenta azione che ha plasmato lo sguardo prima ancora che il carattere,
smussando la sua presunzione e aprendolo ai suoi orizzonti del pianeta.
Deve scoprire innanzitutto le
potenzialità sepolte nei meandri della sua storia.
Quindi attraverso la memoria
riscoprire il mare: uno specchio nel quale la popolazione si guarda per
riconoscersi, dove cercare i valori del territorio a cui è legata, porgendolo
ai suoi ospiti per farsi meglio comprendere nel rispetto del suo lavoro e delle
sue identità.
Deve riuscire ad inserirsi, in modo
libero, nel confronto tra le città che cercano entro l’Europa e Mediterraneo
inediti spazi vitali.
Infatti al centro dell’impegno di
Minervini, come dice il titolo del libro, c’è il mare.
Non si può immaginare Molfetta senza
il mare, senza il porto e le barche, senza le partenze e i ritorni.
Ma non c’è traccia di fondamentalismi
identitari, o di localismo egoista nel temi affrontati dal nostro autore.
Piuttosto, la “tradizione” è vista in senso “progressista”, come ampliamento
del futuro e delle sue possibilità. Qui si inserisce il tema più interessante
del libro, il ruolo dell’Adriatico. Il
pensiero meridiano comincia laddove inizia il mare, quando «la riva interrompe
gli integralismi della terra». E oggi Adriatico «significa mettere al
centro il confine, la linea di divisione e di contatto tra gli uomini e le
civiltà»
PARTE
TERZA
3 - Eredi
della Storia
3.1 - Il recupero della memoria
Attraverso la memoria, una società seleziona i propri valori di
riferimento, le radici su cui costruire la convivenza, le regole dello stare
assieme.
Dare un nome ad una via od a una piazza, mostra tutta la
valenza etica ed ideologica della memoria, ma non è sufficiente.
In pochi anni si è passati da una memoria retorica e
celebrativa a nessuna memoria.
L’obiettivo è l’impegno della
Associazione Eredi della Storia e della fondazione ANMIG è di creare a Molfetta
una sede permanente dove vengano raccolte testimonianze reperti, documenti,
fotografie, da mettere a disposizione della cittadinanza
(scuole,cittadini,curiosi) tanto da dare le basi ad un centro di ricerca e di
studio con un percorso didattico pedagogico.
Il nostro scopo non è solo quello di
riportare alla luce cimeli, documenti, ma anche di promuovere
convegni, mostre, dibattiti e altro possa riguardare e interessare non solo la
nostra città, ma l'Italia intera.
Oggi, si può dire che molte scuole
chiedono di poter usufruire dei nostri documenti d’archivio per le ricerche che
vedono impegnati decine e decine di studenti.
Le mostre organizzate in questi anni
inerenti alle due guerre, hanno suscitato l'interesse della cittadinanza,
soprattutto fra i più giovani, che hanno vissuto un'esperienza di studio della
storia contemporanea più completa; infatti, la nostra sede allestita a museo, è
visitata dalle scolaresche per approfondire la loro conoscenza degli
avvenimenti relativi al passato.
Il passato, consegnato alle nuove
generazioni: promuovere ricerche sulla storia italiana e molfettese, quella
cioè che i nostri nonni, gli anziani, attraverso diari
e lettere dei soldati, lasciano alle nuove e future generazioni affinché, tutto ciò da loro
vissuto e custodito nella vita, sia patrimonio collettivo.
Si cercherà di difendere questa
storia, in quanto siamo convinti che le
Memorie Ufficiali, rinforzate a gran voce dai libri di scuola, dai mass media,
dal senso comune, sono l’avversario più ostico nella lotta per la salvaguardia
delle Memorie Oppresse. Sono spesso memorie ridotte, che sacrificano tutto ciò
che, non facendo parte del progetto politico di chi decide che cosa ricordare,
viene spacciato per irrilevante.
Ci riferiamo, tra le
altre, ad alcune questioni particolarmente importanti: al carattere
ricostruttivo e selettivo della memoria (luogo di costante aggiustamento
rispetto alle necessità soggettive del presente e del gruppo di appartenenza);
al rapporto tra testimonianze orali e scritture autobiografiche; alla sfida
della storia “dal basso” (la sfida, in altre parole, di far interagire
biografie di uomini comuni e il quadro generale della storia (cosi come
l’abbiamo studiata); o, in altre parole, di contribuire con le loro stesse
testimonianze, alla conoscenza dei processi e degli eventi di cui gli uomini
comuni sono stati partecipi.
3.2 - Il museo scomparso
Il tempo svela tutto e lo riporta
alla luce: con questa citazione di
Sofocle meglio si spiega il lavoro che i ragazzi dell’Associazione stanno portando avanti. E grazie a
questo certosino lavoro che pian piano emergono storie, fatti e personaggi
della nostra città, portando alla luce retroscena non scritti in alcun libro di
storia.
Tra questi avvenimenti, ormai
cancellati dal tempo, riaffiorano le umiliazioni subite dalla nostra città durante
l’occupazione inglese.
Risale in quel periodo infatti, la
presenza in alcuni locali annessi alla biblioteca comunale, di un museo civico
permanente che raccoglieva, foto, documenti, cimeli, di tutti quei molfettesi
che combatterono dall’unità d’Italia sino alla fine della prima guerra
mondiale; un museo di cui oggi non vi sono più tracce, visto che tutto il suo
materiale fu usato come souvenir dai militi inglesi.
Tutto ciò avveniva mentre nell’attuale circolo U.N.U.C.I.
– all’epoca sede della Militar Police - , gli Ufficiali italiani, reduci
dai fronti di combattimento, venivano torchiati, per estorcergli notizie
ritenute utili, intimoriti dai
militari alleati che non esitavano a sfregiare a pistolettate quei quadri che
rappresentavano gli atti di eroismo dei nostri combattenti, sfregi ancora oggi
visibili all’interno dell’Associazione U.N.U.C.I. (Ufficiali in congedo).
Altro episodio eclatante di quei
giorni fu il salvataggio del nostro Monumento ai Caduti ad opera dell’allora
Cap. Francesco regina che, ritornato dal fronte di combattimento, mentre
aspettava, accompagnato dal figlioletto, l’apertura del Comando Alleato nei
pressi della villa comunale, notò la presenza di alcuni militari britannici
– peraltro ubriachi – che con un seghetto cercavano di tagliare alcune
parti del monumento.
Il tempestivo intervento del capitano
Regina, seguita da una accesa colluttazione, evitò lo scempio che si stava
compiendo. Fu proprio in questo torbido clima, che molti giovani liceali
decisero di partire volontari nelle file della R.S.I., tra cui il giovane poeta
Ten. Cosimo Mongelli.
Questo è lo scopo della Associazione “Eredi della
Storia”: quello di effettuare ricerche su quelle verità storiche attraverso le
testimonianze di chi visse quegli anni, e quei documenti che, abbandonati per
anni all’incuria e all’indifferenza, oggi ritornano alla luce e che
rappresentano il nostro passato più recente.
A prima vista l'Archivio
della nostra associazione potrebbe
assomigliare ad un magazzino degli oggetti smarriti o a quel catalogo degli
oggetti desueti con
reliquie, rarità, robaccia e tesori nascosti.
E quindi il nucleo più
consistente è formato dalle scritture di guerra (della seconda guerra
mondiale): diari di soldati; uniformi, armi, oggetti personali dei combattenti italiani, tedeschi ed
alleati; cimeli d'ogni genere ritrovati in luogo sono esposti nel piccolissimo
spazio della nostra sede per ricordare i tragici eventi.
La cospicua raccolta fotografica,
permette al visitatore di cogliere le difficili condizioni di vita che i
soldati dovettero affrontare per lunghi anni. Sono
lettere e cartoline che provengono in buona parte dalle diverse regioni
d'Italia
Vi ritroviamo una sorta
di novecento autobiografico (con una significativa appendice ottocentesca),
riportando alla luce la
memoria anche di quella guerra combattuta sul fronte orientale rapidamente
rimossa dalla memoria attuale.
La nascita dell'archivio
(la sua costituzione materiale come luogo di conservazione) è stata
accompagnata negli anni da una costante riflessione teorica al confine tra
storia, antropologia, letteratura e pedagogia.
Per questo l’associazione assieme
alla Fondazione A.N.M.I.G. , e ad altre Associazioni combattentistiche, ha
inoltrato richiesta presso l’Amministrazione comunale per l’apertura di un
nuovo museo civico permanente, per ridare a Molfetta quel museo che il tempo
aveva cancellato.
3.3 - La storia che risorge
In particolar modo è d'obbligo
evidenziare che uno dei cimeli più importanti da noi ritrovati, è la bandiera
di battaglia risalente alla Grande Guerra e le targhe che all'epoca del
ventennio intitolavano le piazze e le strade di Molfetta, testimonianze rimosse
all'indomani dell'armistizio.
Un'altra iniziativa di cui ci siamo
fatti promotori è stata l’opera di restauro che ha riportato all'antico
splendore il lampione che illuminava, in via Dante, la lapide posta vicino la
vecchia sede dell'Associazione A.N.M.I.G. , a ricordo e memoria dei combattenti
invalidi e reduci dalla 1° guerra mondiale.
Purtroppo per molti anni ciò che
rappresentava la memoria di quei combattenti è stato lasciato all'incuria e
all'abbandono, provocandone così il suo totale deperimento.
Gli obiettivi che la nostra
associazione si prefigge sono tanti e certamente irti di grandi difficoltà. Gli
impegni più importanti che ci aspettano sono il rimpatrio dei caduti molfettesi
sepolti nei cimiteri europei, e per questo è necessaria la collaborazione dei
nostri concittadini per far si che il ricordo di tanti soldati molfettesi,
vittime della guerra e delle circostanze, non sia cancellato dall’inesorabile avanzare
nel tempo, e che il loro coraggio e i loro gesti d’eroismo siano dignitosamente
commemorati.
Impegno più
difficoltoso si è rivelato quello legato alla
sensibilizzazione delle giovani generazioni contro mode e fenomeni di
intolleranza, violenza e discriminazione che ogni tanto fanno capolino nelle
cronache giornalistiche. Noi vorremo portare nelle scuole le testimonianze
degli ultimi sopravvissuti come monito.
Un ultimo,
ma non per importanza, impegno dell’associazione riguarda
l'assistenza ai Soci dell'A.N.M.I.G. rimasti che
hanno difficoltà a spostarsi perché abitano in
luoghi isolati o perché hanno problemi di salute.
Sarebbe bello che loro potessero contare sulla disponibilità di noi figli
per potersi spostare, chiedere un’informazione o per fare quattro chiacchiere. Bisogna mantenere salde le radici con i padri che hanno combattuto in
guerra per non diventare noi stessi padri di figli che combatteranno guerre.
3.4 - Nascita dell’associazione giovani “Eredi della Storia”
Il nome significativo, “Eredi della Storia”, fa riferimento
proprio a una storia che parlando di guerra, di caduti e di dispersi, di
decorati e da atti di valore, in definitiva ci lascia in eredità quello che
certamente sarà stato l'ultimo pensiero di ogni soldato caduto in guerra: “non dimenticateci”
Vicende fatta di tante schegge, di tante piccole storie di vita di
giovani schiantate sui campi di battaglia che vengono raccolte, unite, a
testimonianza di quello che ha vissuto in termini di dolore e di valore la
città.
La storia
dell’Associazione è molto recente, poiché è stata costituita a Molfetta nel maggio
del 2002 e ha sede presso la Casa Madre dei Mutilati e Invalidi di Guerra in Corso Dante 92.
L’associazione è iscritta all’albo delle associazioni culturali.
La nuova associazione per i giovani
fu voluta dal Cav. Uff. Mauro Raguseo (presidente della sezione
dell’A.N.M.I.G.) con legato testamentario del 22 settembre del 2000. Egli
lasciava tutti i ricordi, i diari e i documenti raccolti e tramandatigli dai suoi
amici nel corso degli anni, a suo nipote Sergio Ragno, futuro presidente degli
Eredi della Storia, a condizione di portare alto il nome della sezione di
Molfetta e il valore e l’onore degli eroi caduti.
Il gruppo degli Eredi della Storia si costituì spontaneamente
a Molfetta nel febbraio 2001 per ovviare alla rigidità dello statuto della Fondazione
- che conta tra gli iscritti solo
i figli nipoti e pronipoti, in linea diretta, dei mutilati e invalidi di guerra
- aprendo cosi le adesioni a tutta
la collettività, come pure agli stessi soci dell’A.N.M.I.G. e ai figli dei
combattenti, iniziando un fruttuoso sodalizio.
Il nuovo gruppo cosi creatosi, riunisce appassionati di storia e di cultura
locale, di qualsiasi estrazione politica e culturale, nonché tutti coloro che hanno a cuore la conservazione e la
divulgazione del patrimonio e delle tradizioni molfettesi
Nel Marzo 2001 viene presentato il
gruppo giovani Eredi della Storia al commissario prefettizio Antonella Bellomo
e a sua Eccellenza il Vescovo Mons. Luigi Martella
Da quel momento l’associazione ha cercato
di collaborare con le Istituzioni Italiane ed Internazionali nonché con
le Forze Armate per promuovere come
prescritto nello statuto (art. 2) iniziative culturali atte a:
a)
migliorare le condizioni per la crescita sociale e
culturale dei propri iscritti;
b)
favorire l’armonizzazione
della vita associativa attraverso lo scambio di valori ed esperienze;
c)
studiare e progettare nuovi
metodi e strumenti di comunicazione sociale;
d)
valorizzare lo studio della Storia
locale e nazionale in tutte le sue forme, conservare e mantenere vivo il
ricordo dei nostri soldati concittadini e non.
Si impegna infine a svolgere ogni iniziativa idonea al raggiungimento
degli scopi prefissati.
L'Associazione, di cui attuale Presidente è il dott. Michele
Spadavecchia, è autonoma ed indipendente da qualsiasi partito o forza politica
e non a scopi di lucro ed opera sul piano del volontariato
3.5 - I riconoscimenti
In data 24 maggio 2007, la Giunta
Esecutiva Centrale in Roma dell'Istituto del Nastro Azzurro dopo aver esaminato
la relazione presentata dal Generale Picca Giuseppe, presidente della Sezione
di Bari, ha deliberato di concedere alla Associazione Eredi della Storia di
Molfetta la tessera di Socio Benemerito, in riconoscimento dei meriti
acquisiti, per lo svolgimento di una attività in gran parte coincidente con i
compiti e gli scopi indicati nello Statuto dell'Istituto del Nastro Azzurro.
Con questo riconoscimento, i soci dell'Associazione “Eredi della Storia”,
fieri per tale benemerenza, a livello nazionale, consci delle nuove
responsabilità che vengono ad aggiungersi ai compiti che già espletano, vengono
esortati ancor di più a diffondere (tra i giovani e non, il nobile sentimento
dell' amor di Patria).
Si potrà utilizzare pertanto con
orgoglio il logo dell'Istituto Nastro Azzurro nei documenti relativi alle
attività promosse in futuro dalla nostra Associazione. E’ bene ricordare che
nella nostra città era gia attiva una sezione staccata dell'Istituto Nastro
Azzurro che aveva come responsabile il sig. Sergio Ragno ex - presidente
dell'Associazione "Eredi della Storia", con il compito di riunire
amalgamare soci ex combattenti, insigniti di ricompense al valor militare
e loro eredi.
Insieme all'attività culturale dell’
Associazione, con presidente il dr. Michele Spadavecchia. si condivide il
compito di tutelare il rispetto e l' amore per l' Italia, di diffondere la
coscienza e i doveri verso di
essa, di ravvivare il ricordo degli eroismi compiuti oltre che con conferenze a
tema anche con pellegrinaggi nei luoghi dove il soldato italiano, ha sofferto e
donato la propria vita di promuovere tutte quelle attività utili ad elevare il
prestigio dell'Istituto e della Associazione in campo nazionale.
Oggi l'Ass. "Eredi della Storia"
è la dodicesima associazione culturale in Italia che ottiene tale
riconoscimento, concesso da un Ente Morale eretto con R.D. 31 maggio 1928 n.
1308.
La nomina a "Socio
Benemerito" è stata ufficializzata con una cerimonia, presso il Circolo Ufficiali di Bari,
dove i componenti del Direttivo della Ass. Eredi della Storia ed il presidente
Gen. Giuseppe Picca hanno suggelleranno questa nuova iscrizione.
Ma la storia continua; infatti, sulla
scia del successo ottenuto durante e dopo la mostra che l'Associazione ha
organizzato per tutto il mese di aprile (oltre 3500 presenze) e nei primi
giorni di maggio dello stesso anno presso la Sala dei Templari, e anche dalla
conferenza sulle "Fosse Ardeatine” la Fondazione della Associazione
Combattenti e Reduci desidera annoverarci tra le sue fila. Il presidente, prof.
Binetti, ha già chiesto la nostra collaborazione per organizzare altre
manifestazioni ed, incontri ed è stato protagonista durante la mostra,
descrivendo gli eventi da lui vissuti in quei terribili anni di guerra agli alunni
di scuola media ed elementare che hanno visitato la Sala dei Templari tra
aprile e maggio del 2007.
PARTE QUARTA
4 - Le associazioni che promuovono la culturale e la storia di Molfetta:
associazioni combattentistiche e culturali
4.1 - Fondazione A.N.M.I.G.
Tanti anni fa, alla fine della prima guerra mondiale, nacque
l'Associazione Nazionale fra Mutilati ed
Invalidi di Guerra per difendere gli interessi
morali e materiali di coloro che avevano combattuto per costruire l'Unità d'Italia. Ai reduci di quella guerra si sono poi aggiunti
altri reduci delle guerre successive.
Gelosa custode di un immenso
patrimonio di valori, di ideali e di testimonianze, acquisito nel corso dei
suoi 87 anni di vita, l'Associazione non intende che esso venga disperso
quando, per l'inarrestabile avanzare degli anni, i protagonisti di così
qualificanti pagine della storia italiana non ci saranno più.
Oggi, 2008, i più
fortunati di loro sono ottantenni; gli altri, dopo una vita da mutilati od invalidi, non
ci sono più.
In seguito la costituzione della Fondazione è avvenuta
formalmente il 10 maggio 2005, quando si è tenuto a Roma il 1° Convegno
Nazionale degli Aderenti alla Fondazione.
Oltre 250 figli e nipoti di invalidi di guerra si sono riuniti presso la Casa
Madre del Mutilato di Guerra per dibattere i temi più importanti della
Fondazione, alla presenza di parlamentari ed Autorità civili e militari.
Pertanto è stato deciso di costituire
una Fondazione con il compito di tramandare alle giovani generazioni questa
preziosa eredità ideale e di conservare la memoria storica di lotte, di
sacrifici e di conquiste che hanno consentito all' Italia di crescere nella
libertà, nella democrazia e nella giustizia sociale, nonché di svolgere in ogni
campo in favore loro, delle loro famiglie e dei loro successori opera di
protezione, di assistenza e di solidarietà.
Raccontare la storia degli
avvenimenti bellici del novecento e le sue terribili conseguenze è oggi un modo
per non perdere la memoria del nostro. E è forse l’essere figlio o nipote di un
testimone a creare quel filo conduttore che lega a se tanti aneddoti nascosti
su quelle vicende ormai lontane. A loro è rimasto il compito di mantenere vivo il ricordo, di dire al mondo che la guerra è una gran brutta faccenda, di
ricordare il coraggio di quei
giovani , per non cancellare mezzo secolo di storia.
Alla Fondazione possono aderire gratuitamente i Figli, i Nipoti ed i
Pronipoti , (anche più di uno per Famiglia purché maggiore di 15 anni) del mutilato od invalido di qualsiasi guerra
(quindi anche di quella del 1915/18) sia vivente che deceduto. Essa ha lo scopo principale di onorare i mutilati ed invalidi di Guerra,
mantenendo vivo il ricordo del loro sacrificio e del loro contributo alla
configurazione dell’attuale Società civile, collaborare con le Autorità
e le Istituzioni, sia italiane che estere, per contribuire allo sviluppo della
coscienza civile e democratica dei cittadini, alla distensione internazionale,
alla difesa della Pace ed al rafforzamento dei sentimenti di fratellanza fra i
popoli;
promuovere e sviluppare iniziative,
anche in armonia con Fondazioni consorelle, tese ad avvicinare i cittadini alle
Istituzioni e a sostenere lo Stato democratico nei suoi Ordinamenti fissati
dalla Costituzione; svolgere ricerche storiche, organizzare convegni,
conferenze, seminari, manifestazioni ed attività culturali di qualsiasi genere
connesse allo scopo della Fondazione, editando anche pubblicazioni, riviste
opuscoli, libri, quant’altro utile a diffondere, su tutto il territorio
nazionale ed all’estero, in particolare nelle giovani generazioni, la conoscenza
del sacrificio sofferto dai mutilati ed invalidi di guerra italiani e dei
grandi valori ideali che li animano; istituire borse di studio, premi anche di
natura economica ed incentivi a favore degli assistiti.
4.2 - Associazione Nazionale Combattenti E Reduci
L' Associazione Nazionale Combattenti
e Reduci, acronimo A.N.C.R., è un Ente Morale di diritto privato (decreto del
1923). Ha sede in Roma. L'Associazione fa parte integrante del Consiglio
Nazionale Permanente delle Associazioni d'Arma ed è iscritta all'Albo del
Ministero della Difesa, ai sensi del D.M. 5/8/1982.
E' un'associazione apolitica e
apartitica che ha la rappresentanza e la tutela degli interessi materiali e
morali dei combattenti e dei reduci di guerra iscritti all'associazione;
mantiene anche vincoli di cameratismo con le tutte le Associazioni d'Arma
consimili. Iniziative istituzionali conformi alle finalità sociali (raduni,
cerimonie, attività ricreative, tutela degli iscritti,...) .
L'Associazione si propone: il culto della Patria; la
glorificazione dei Caduti in guerra, nei campi di prigionia e di internamento,
e la perpetuazione della loro memoria; la difesa dell'unità e dei valori della
nazione e della Costituzione Repubblicana;
4.3 - L'istituto del Nastro Azzurro
L'Istituto del Nastro Azzurro fra
Combattenti Decorati al Valore Militare (o più semplicemente il Nastro Azzurro)
trova la sua ragion d'essere nella riunione in una sola, ideale associazione di
tutti i Decorati Al Valor Militare, dalle guerre pre-unitarie fino ad oltre la
Seconda Guerra mondiale.
Attraverso il proprio periodico, Il
Nastro Azzurro, l'Istituto mantiene in vita il ricordo di tutti quegli Eroi
che, senza distinzione di classe e di ideologia politica, hanno portato nel
mondo l'eroismo del Soldato, Patria comune di vincitori e vinti. Possono fare
parte dell'Istituto i Decorati di medaglia al Valor Militare (Soci Effettivi) alla condizione di non
aver compiuto, dopo il conseguimento della decorazione, azioni indegne o tenuto
comportamento disonorevole, essere venuti meno alle leggi dell'onore militare,
della morale ed ai doveri verso la Patria.
(Soci d'Onore) sono i Reparti delle Forze Armate ed i Comuni con
Bandiera o Gonfalone decorato di medaglia al Valor Militare.
Possono inoltre continuare nella
Grande Tradizione dell'Istituto i congiunti ed i discendenti di Decorati (Soci Aderenti) e tutti coloro che, pur
non discendenti di un Decorato, condividono gli Alti Ideali dell'Istituto (Soci Simpatizzanti).
Eccezionalmente si potrà nominare
Socio Benemerito anche persona esterna all’Istituto, purché in regola coi
requisiti morali e che veramente abbia dato un contributo sostanziale allo
sviluppo dell’Associazione
4.4 - Università Popolare
Molfettese
La memoria collettiva
L’Università Popolare di Molfetta,
fondata nel 1902, è un' associazione culturale no profit che svolge attività di
Educazione Continua e Permanente per giovani, adulti e anziani attraverso lo
studio, la ricerca, il dibattito, la formazione, l’aggiornamento culturale, le
iniziative editoriali.
Osservatorio dei bisogni culturali ed
educativi dei cittadini, si è fatta promotrice dell’educazione permanente degli
adulti
L’Università Popolare è convinta che
l’esperienza di ciascun uomo non debba essere sprecata, ma consegnata alle
generazioni future. Per questo motivo, dalla sua nascita, sollecita i proprie
soci e la cittadinanza a partecipare alle ricerche sulla memoria collettiva in
collaborazione con le altre associazioni. Gli studenti si sono rivelati
“ricercatori” attenti ed appassionati. I dati e il materiale prezioso da loro
raccolto sono stati accuratamente selezionati da esperti e unitamente alle
piccole storie orali raccontate dai protagonisti, hanno dato vita ad una serie
di volumi della collana che resterà a testimoniare il vissuto delle generazioni
passate.
L’U.P.M non si è accontentata di
partecipare a questa ricerca e da anni, ormai, ha preso contatto anche con le
scuole. Fra le molte esperienze significative quella con l’Università degli
Studi di Bari. Quando
l’aggregazione si propone finalità
nobili come il sentimento
religioso, la solidarietà sociale, gli impegni culturali e possibile coltivare
la buona tradizione. L’impronta del civilismo salveminiano è evidente e
documentato, ed è questa l’importanza dell’Università Popolare Molfettese che
non viene meno per tutta la sua pluridecennale attività. Diviene testimone di
libertà durante il ventennio fascista ed esercita una preziosa influenza nella
formazione dei giovani, per una nuova classe dirigente negli anni della
ricostruzione. Oggi vuol dare una risposta al problema dell’educazione degli
adulti e non solo degli anziani di cui l’attenzione politica si sta facendo
carico come dimostra la recente legge regionale 26/2002 n°14. Non si tratta
soltanto di assicurare agli anziani che costituiscono ormai una larga fascia di
popolazione una attività ludica, ma di offrire a tutti gli adulti una libera
agenzia educativa senza il simbolo cartaceo del diploma. La conoscenza del
territorio è stato il primo obiettivo dell’U.P.M. Nei vari anni accademici,
sono stati svolti seminari sulla struttura urbanistica di Molfetta: dallo
sviluppo del borgo antico ai nuovi quartieri ma anche ai problemi come
l’inquinamento, l’immigrazione e la criminalita.
4.5.1 - L’Associazione Molfettesi nel
Mondo
L’Associazione Molfettesi nel Mondo da oltre vent’anni non
smette mai di mantenere vitale e profondo il vincolo affettivo con gli emigrati
pugliesi attraverso numerose iniziative e manifestazioni come gemellaggi,
convegni, feste folcloristiche, sostenitori con le comunità di italiani
all’estero, aiuti agli emigrati
più bisognosi. Oggi. sono pochissimi i molfettesi che emigrano negli Stati
Uniti d'America o in altri paesi del mondo, ma in passato il fenomeno
emigratorio dei molfettesi era di proporzioni impressionanti. Nel tempo della
globalizzazione non esistono più frontiere e i giovani hanno ripreso a partire,
lontano dalla città, con uno spirito diverso, con una cultura diversa, più
preparati, più pronti e aperti alle nuove esperienze. Essi lo fanno ancora per
lavoro ma anche per lo studio e per l’approfondimento, anche solo per imparare
nuove lingue. Ma chi era il molfettese che emigrava negli Stati Uniti d'America
e perché si apprestava a compiere il passo forse più importante della sua vita?
Prima di rispondere a queste domande, cerchiamo di dare uno sguardo, storico e
sociale, ad alcuni elementi e considerazioni essenziali del fenomeno
migratorio. L’emigrazione è stata sempre considerata, dalle massime autorità
politiche (e religiose) italiane, come un fenomeno in cui non si voleva,
intenzionalmente, interferire. L’Italia, la Puglia, Molfetta hanno sempre
voluto adottare una politica di laissez fair verso il fenomeno
dell'emigrazione. Ci si giustificava con l'ammettere che, anche volendo, non si
capiva bene come fare per arginare quel processo le cui componenti erano di
dimensioni mostruose. I politici e la Chiesa hanno sempre considerato
l'emigrazione come un fenomeno che non si era tenuti a sopprimere e che, anche
volendolo, non si avevano i mezzi per farlo. La stessa Costituzione della
Repubblica Italiana dichiara che '1a Repubblica riconosce la libertà di
emigrazione...". L’emigrazione dei molfettesi verso i paesi dell'America
del Sud (principalmente l'Argentina e il Venezuela), l'America del Nord (Stati
Uniti d'America) e l'Australia ha una dimensione di carattere biblico. Nessuno
sa con certezza quanti molfettesi, di varie generazioni, vivono in queste
nazioni, ma stimare il loro numero uguale, se non addirittura superiore, a
quello dei molfettesi che abitano a Molfetta non sarebbe affatto un'ipotesi
senza fondamento.
Il primo fenomeno di emigrazione a Molfetta si ebbe nel 1913
per la partenza contemporaneamente dalla città di 683 persone, anche se si fa
risalire al 1881 i primi individui approdati nel nuovo mondo
[4]
. Ma
dopo la prima guerra mondiale, si assistette ad un esodo quasi biblico, quando
partirono da Molfetta oltre 3000 persone, per fermarsi gran parte negli Stati
Uniti d'America, Australia, Venezuela, Argentina, ma anche in Francia, Belgio,
Svizzera,Germania ed in tante altre nazioni. Al principio gli emigranti
Molfettesi erano in gran parte umili ed analfabeti e soffrivano anche i primi
segni di xenofobia.
Il molfettese emigrato in queste
terre rappresenta un elemento di un processo disumano in cui questi ha subito
un trapianto forzato, senza preparazione alcuna, in un habitat di cui non si
conosceva alcunché. Quindi, sradicato dai propri affetti, dalla propria
cultura, dalle proprie tradizioni, per essere reimpiantato in un terreno
ostico, diverso 4.
Ma in seguito, a quegli emigranti furono raggiunti da operai
specializzati, tecnici, professionisti,laureati, i quali pur con grande
difficoltà di integrazione, si inserirono nella nuova realtà raggiungendo anche
livelli considerevoli e di grande visibilità nella società civile. Nonostante
tali insperati successi, gli emigranti molfettesi non dimenticarono mai le
proprie radici e tradizioni, valutando improbabili ritorni le hanno trapiantate
in quei luoghi legandoli in modo inscindibile alla propria terra d'origine.
Infatti, conservano la cultura ma
perdono il conflitto con la città, i molfettesi che partono. Non partecipando
più della sua vita reale, la città di chi parte si riduce sempre più agli
elementi mitici e simbolici della sua identità, la sagra della Madonna dei
Martiri e le processioni della settimana santa, il dialetto e gli spazi della
memoria, «ind'alla tèrre», «la Nenzeiate».
Saranno proprio questi elementi che
gli emigranti, ad esempio,
tenteranno di «donare» nei luoghi del nuovo mondo fino a generare in alcuni
casi delle vere e proprie ,«little Molfetta
[5]
».
La partenza dell'emigrante molfettese dal proprio paese era
accompagnata, qualche volta, dalla celata gelosia dei conterranei in condizioni
più disperate del partente, ma, nella stragrande maggioranza dei casi, da vera
e propria commiserazione dei propri paesani. Si diceva che l'emigrante era nu
pòvere ad idde, ed egli rimarrà tale anche quando si sarà fatta una posizione
economica di tutto rispetto. E come "pòvere ad idde",
L'emigrante molfettese non entrerà mai più a far parte della
serie A dei cittadini molfettesi e italiani! Solo recentemente, grazie a un sia
pur debole mo mento a carattere nazionale, si sta cercando di dare un po' di
dignità all'emigrante considerandolo un cittadino italiano all'estero".
4.5.2 - L’importanza delle radici per gli Italo–americani:
riflessioni.
Queste considerazioni fatte
dall’autore del libro “My Molfetta” riguardano i molfettesi, americani che sono
costantemente, quotidianamente impegnati alla difesa della propria identità, in
un ambiente non sempre in sintonia con quello dei propri genitori o antenati. In
questo confronto, che a volte assume toni abbastanza marcati, i molfettesì‑americani,
si impegnano per stabilire e difendere il loro stile di vita, nel quale cercano di bilanciare ed
armonizzare il retaggio italiano con l'americanismo, con l'American Way of
Life, senza però rinunciare ad
alcunché della propria personalità, di se stessi. E’ intrinseca in questa lotta emotiva la preoccupazione di evitare una
assimilazione di cultura (quella americana) che escluda ‑ a priori ‑
il riconoscimento della propria identità socio‑storica, incluso, in primo
luogo, quello della lingua6. I
molfettesi , una volta nella terra di adozione, mantengono praticamente inalterata
le loro cultura, usi, consuetudini che rimangono solidi (infatti, in molti
casi, rafforzati) al contrario, gli elementi più volatili e meno duraturi
vengono convenientemente americanizzati.
Gli Stati Uniti – ma come in
qualsiasi altro paese, inclusa l’Italia, soggetto al fenomeno dell’immigrazione - non hanno una politica di
incoraggiamento delle varie culture etniche, poiché si limitano ad applicare una innocua politica di laissez‑faire,
cioè lasciano l'iniziativa di coltivare la propria cultura al gruppo etnico
stesso, senza incoraggiare tale iniziativa, né, in verità, ostacolarla. Anzi a mio avviso è piuttosto logico incoraggiare l’integrazione che
tendenzialmente eviterebbe i fenomeni di intransigenza ed intolleranza. Quindi in sintonia con quanto affermato
dall’autore, è sicuramente corretto affermare che spetti alla famiglia, alla
comunità come anche gruppi di aggregazione quali le associazioni, incoraggiare
e tenere viva la fiamma del nostro retaggio non alla nazione che accoglie gli
immigrati.
4.6 – Associazione turistica Pro Loco Molfetta
L'attività dell'associazione, senza
fine di lucro, è improntata istituzionalmente sul volontariato, informazione e
sensibilizzazione ambientale, culturale, archeologica, turistica fra i
cittadini e nelle scuole elementari, medie inferiori e superiori. Svolge
servizio di accompagnamento, con proprie guide, delle scuole e dei flussi turistici
provenienti da tutto il territorio nazionale ed estero presso i siti di
interesse storico, culturale, artistico, produttivo della città di Molfetta e
dei comuni viciniori. Partecipa alla salvaguardia e tutela del patrimonio
ambientale, agricolo, storico, artistico e culturale del territorio di Molfetta
e dei comuni limitrofi. È editrice del periodico mensile di informazione
“Molfetta Nostra” diffuso nelle regioni del Sud Italia. Presso la sede sociale
è in funzione tutti i giorni, festivi compresi, uno sportello informativo e di
assistenza per i flussi turistici e scolastici locali, nazionali ed esteri. La
Pro Loco molfettese muove i primi passi all'inizio degli anni Trenta ad opera
del dott. Aldo Fontana. Negli archivi una nota dell' allora Podestà, datata
23/10/1936/XIV-n° 16191, con la quale si invita il Fontana a costituire un
gruppo di lavoro che volontariamente assume iniziative per promuovere la Città
sotto il profilo turistico - culturale. Un gruppo di amici, capeggiato dal
dott. Fontana, costituisce una Associazione intitolandola “Pro Loco
Molfettese”. La Pro Loco molfettese che notoriamente da oltre cinquant'anni
opera per la tutela, la promozione del territorio e dei cittadini, con un ampio
ventaglio di iniziative connesse ai principi fondamentali della legge e della
Carta Etica sul Servizio Civile Nazionale, per l'anno 2008 ha elaborato il
seguente progetto: "recuperiamo il tessuto urbano e sociale della
città"
Tra gli obiettivi della pro loco:
Il progetto del servizio civile mira
alla rivalutazione e alla socializzazione dei quartieri storici maggiormente
degradati sia dal punto di vista urbanistico che sociale coinvolgendo in modo
particolare i cittadini residenti nei seguenti quartieri: Centro Antico
Quartiere Catacombe, Rione Cavalletti;
informazioni, presso opportune sedi,
sulle opportunità offerte dal territorio in termini di servizi, strutture,
interventi, nonché per tutte le esigenze di vita quotidiana degli extra
comunitari e dei residenti;
impegno per un'opera complementare di
recupero delle carenze formative scolastiche, in collaborazione con gli
istituti scolastici di provenienza;
individuazione degli anziani, in
condizioni di disagio, con interventi finalizzati alla miglioria della loro
condizione, interessando i servizi sociali e gli enti preposti per l'assistenza.
Tra le iniziative che ogni anno
organizza la pro loco ricordiamo:
(febbraio) falò
di S. Corrado; (luglio) sagra del calzone, dell'olio extravergine di oliva e
del vino;
(agosto) sagra
del pesce; (agosto) Molfetta in arte; (settembre) sagra e degustazione del fungo
carboncello;
(settembre)
premio “duomo d'argento”; colora la tua
città; (ottobre) festa di San
Nicola che viene dal mare;
(dicembre) Presepe
in famiglia; (dicembre) Sagra dei dolci natalizi locali; (dicembre ) l'allegra
tombolata;
convegni e tavole rotonde.
PARTE QUINTA
5 - Le attività dell’associazione: mostre e convegni dal 2002 ad oggi
Nella scelta dei materiali
documentari da mettere in mostra, si è cercato di perseguire l’obiettivo di un
di un avvicinamento al pubblico non necessariamente specialistico ad alcuni
momenti significativi della città.
I documenti, vari per tipologie, sono
organizzati in un processo espositivo a più temi, anche di “storia minore”, che
spiegano l’aspetto attuale di alcuni luoghi e simboli della città, aprendo
squarci interessanti soprattutto per i giovani.
Poiché non è possibile allestire
mostre permanenti gia strutturate , si è pensato di ricorrere a percorsi
unitari di tipo tematico o cronologico e di esporre esemplari bibliografici e
documentari tra i più significativi, capaci di stimolare interesse e curiosità
in chi, forse per la prima volta, visita l’esposizione.
Foto ingiallite dal tempo
testimoniano eventi importanti per la nostra città (uno per tutti: l'inaugurazione
del Seminario Regionale) lo sviluppo industriale del nostro territorio (Palazzo
Capelluti, Biscottificio Pansini e Gallo, Cementificio De Gennaro Girolimini a
Molfetta, la torre dell’orologio ecc..). Ciò permette agli
anziani di recuperare le immagini di una città che rievocano
ormai come un sogno lontano e i più giovani a ricostruire idealmente una
situazione che hanno avuto la possibilità di vedere solo attraverso le
cartoline d'epoca.
5.1.1 - I Molfettesi nel 2' Conflitto
Mondiale (febbraio 2002)
Grande è stata la partecipazione
della città, oltre cinquemila presenze alla mostra.
Aggirarsi tra quelle foto, tra
tabelloni, tra le teche di oggetti che hanno il sapore dei cimeli è stato un
po' come entrare in una dimensione tutta particolare. Perché non solo di storia
vi si parlava (quella con la 'S' maiuscola, quella che si insegna nei libri di
scuola o scritta sulle enciclopedie), ma di tante “storie”, intrecciate a
doppio filo con gli eventi più importanti ma anche tutte, a modo loro, dei
piccoli eventi.
Dall'umile radiotelegrafista al
militare insignito di medaglia d'oro al valor militare, dal fante entrato
giovanissimo sul teatro di guerra al Generale, al partigiano, tutti i
personaggi ritratti erano accomunati dal fatto di aver combattuto per l'idea di
una Patria, e di averlo fatto nella Seconda Guerra Mondiale e soprattutto di
essere molfettesi.
Un lavoro accurato con le mappe e le
azioni di guerra, le foto originali degli ufficiali e dei soldati, dei mezzi,
della tragedia che colpì tutta l'Italia e la nostra città.
Il grande merito della mostra,
tenutasi nel chiostro della Chiesa di San Domenico a Molfetta, è stato proprio
questo: riaccendere l'attenzione su una pagina fondamentale della storia di
questa comunità, togliendola dal limbo dei ricordi sbiaditi e restituendola non
solo all'emozione di coloro che combatterono sul campo, ma all'attenzione delle
nuove generazioni.
Il senso dell'iniziativa è nelle
parole dei Presidente della Associazione Nazionale Combattenti e Reduci di
Molfetta, Giuseppe Binetti: 'Ci ha spinto soprattutto la volontà di onorare il
sacrificio di tutti coloro che hanno combattuto e sofferto in nome e in difesa
della loro Patria.
Ed eccoli i numeri dei lavoro di
ricerca da lui coordinato ed attuato in collaborazione con l'Associazione
Giovanile "Eredi della Storia”: 410 internati militari in Germania, 388 prigionieri di guerra ed internati
civili, 480 invalidi e mutilati di
guerra, 380 caduti o dispersi, 67
decorati (raffigurati e descritti con materiale fotografico raccolto anche da
altri sodalizi (Ass. Naz. Invalidi e Mutilati di Guerra, Istituto dei Nastro
Azzurro, U.N.U.C.I., Ass. Naz. Marinai d'Italia, Ass. Naz. Carabinieri, Ass.
Naz. Finanzieri d'Italia).
Anche il novero dei fronti di guerra
illustrato in 14 pannelli è stato
completo, avendo militari molfettesi combattuto sul fronte francese, in Africa,
nella campagna greco ‑ balcanica, così come in quella di Russia, senza
contare i marinai e tutti coloro che hanno poi vissuto su opposti versanti le
vicende della Resistenza e della Repubblica di Salò. Se si deve nutrire
rispetto e ammirazione per eroi come ‑ tanto per citare i più noti, il
S,Ten. Fiorino, il Capitano Azzarita (caduto alle Fosse Ardeatine), il Magg.
Sallustio (tre volte medaglia d'argento, caduto in Russia) ed i tanti decorati
come loro con medaglie al Valor Militare, non può descriversi la commozione che
desta l'ultimo messaggio che il marinaio Panunzio, disperso in mare, affidò ad
una bottiglia poi recuperata da un motopesca molfettese.
Si, proprio commozione, come quella
che ha suscitato in alcuni visitatori l'aver visto esposto il nome dei proprio
caro tra quelli dei militari dispersi in guerra, tanto da indurli a
inginocchiarsi e pregare davanti a quell'elenco d'improvviso elevato a un
piccolo, privatissimo monumento.
5.1.2 - Ferita ancora aperta
In molti però non hanno voluto
partecipare all’allestimento di questa mostra documentaria e non hanno neppure
fornito le fotografie che li vedevano protagoniste. Bisogna comprendere questa
scelta. Le ferite non si sono ancora rimarginate, ed e triste rinverdire i
ricordi che spesso altro non sono che incubi.
Scorrendo le centinaia di foto
esposte, ci si è imbattuti anche in autentiche sorprese.
Per esempio la sciagurata battaglia
navale di Capo Matapan, nella quale si persero ben 5 unità da battaglia ‑
gli incrociatori Fiume, Zara, Polo e i cacciatorpediniere Alfieri e Corducci,
ad opera della Mediterranean Fleet Inglese dell'Amm. Cunningham, ma ben pochi
sapevano che testimone diretto dell'evento fu anche un molfettese, l'allora
ufficiale Mauro Facchini, imbarcato proprio sul Polo. Idern dicasi per il
marinaio Michele Ragno, scampato all'affondamento dei sommergibile Vietro
Micca', altro episodio famoso della guerra sottomarina.
Neanche i Carabinieri sono mancati
in questo ricchissimo elenco: il Maresciallo Francesco Bergliaffa, Comandante
della Stazione CC. di Pola, la cui vita e la cui famiglia finirono al centro
della tragedia delle foibe ad opera dei partigiani titini; ugualmente da ricordare
le vicende che coinvolsero il V. Brigadiere Cosimo Antonaci, nonché i
Carabinieri Nicola Musolino e Andrea
Apostolo, impegnati nella campagna
balcanica.
E poi il Ten. Ragno (Medaglia
d'argento al V.M. sul campo), il Capitano medico Nicola Maggialetti, la Croce
di Guerra Franco Saieva, reduce dalla battaglia di El Alcimein... l'elenco è
talmente lungo che fatalmente finiremo per omettere qualche nome.
Le massime autorità dello Stato si
sono complimentate con i giovani, tra cui la Regione Puglia che ha premiato il
Gruppo Giovani Eredi della Storia con una targa per il lavoro svolto, il
Presidente della Regione Puglia con l'invio di una coppa, il Sindaco di
Molfetta promettendo ai giovani di allestire una mostra permanente sugli eroi
della nostra storia, il Comando della Capitaneria di Porto, il Comando dei
Carabinieri e della Guardia di Finanza, i quali hanno incoraggiato i giovani
affinché il museo si arricchisca di nuovi documenti e continui la ricerca.
5.2.1 - I Molfettesi nella Grande Guerra
(novembre 2002)
Allestita presso la Sala dei Templari
è stata presentata la mostra documentaria della Grande Guerra, che ha rappresentato testimonianze di
vita quotidiana, sia al fronte che nell’ambito delle proprie case, dei
molfettesi che hanno vissuto quella tragica epopea e quelli che hanno
sacrificato la vita per l’Unità d’Italia, dei decorati e degli invalidi
sopravvissuti a quella immane “mattanza” che fu la Grande Guerra, con il
coinvolgimento della nostra città che subì due bombardamenti aerei e un
cannoneggiamento navale, con vittime tra la popolazione.
Nella Sala Consiliare “G.
Carnicella”, poi appassionati di storia, ex combattenti e congiunti, le massime
autorità civili, politiche e militari nonché numerosi cittadini hanno accolto
l’invito della dell’Associazione Eredi della Storia di Molfetta, partecipando
convegno per ricordare “ I molfettesi nella Grande Guerra 1915-1918”. Giuseppe
Binetti, presidente dell’ A.N.C.R. di Molfetta, ha presentato la mostra come
una ideale prosecuzione dell’analoga iniziativa dedicata al secondo conflitto
mondiale, tenuta nel mese febbraio dello stesso anno, presso la Fabbrica del
Convento di San Domenico, un omaggio ai padri ed ai nonni che hanno combattuto
la Grande Guerra.
Il Presidente Binetti in quel
occasione ha esortato al culto dei valori che hanno fatto grande la nostra
Repubblica, ha sottolineato l’importanza della memoria del passato che
l’associazione è impegnata a difendere. Il sindaco Tommaso Minervini, durante
il convegno, ha definito la manifestazione come processo di rievocazione
storica e di identificazione tra generazioni; processo indispensabile per la
comunità, che non può dimenticare il proprio passato, poiché fondata sulla
saldezza delle sue radici.
All’intervento istituzionale del
sindaco Minervini è seguito il sentito monologo del prof. Gaetano Mongelli,
docente di Storia dell’Arte Moderna presso l’Università di Bari, il quale, tra
aneddoti famigliari episodi storici e riferimenti artistici ha ripercorso i
momenti terribili della Prima Guerra Mondiale focalizzando la sua attenzione
sugli antieroi, sul milite ignoto, sui Cavalieri di Vittorio Veneto. Non poteva
mancare il riferimento al “Monumento ai caduti “ che troneggia nella nostra
villa comunale. L’opera realizzata da Giulio Cozzoli nel 1929 ed inaugurata
l’anno successivo, raffigura una Nike della Samotracia (vittoria alata) che
accoglie un fante, glorificazione dei 504 caduti molfettesi . Il dott. Michele
Spadavecchia, consulente storico ha ripercorso gli eventi che hanno interessato
anche la nostra città e l’evoluzione di Molfetta in quel periodo; 6500 abitanti
affollavano la città vecchia: opulenta di industrie era la “Manchester del Sud”
(parola del Re Umberto I).Un porto attivo, i ragazzi che ”terzolavano” le vele,
i funai. Non c’erano disoccupati, (si parla infatti di un tasso di
disoccupazione vicino allo 0%.), si era lontani dal fronte.
Quando gli uomini partirono, la
responsabilità della conduzione della vita familiare ed economica cadde
interamente sulle donne. Non fu risparmiata dalle bombe, Molfetta: nel giugno
del ’15 un aeroplano austriaco la bombardò, e non si trattava come qualcuno
pensò,di una manovra di ripiego dopo aver fallito l’attacco sul capoluogo ma di
una scelta mirata per mettere in
crisi la produzione industriale del circondario. Ancora nel luglio del ’17, le
granate si abbatterono sul nostro paese provocando morte tra i civili. E
successivamente la flotta austriaca, volendo forzare il Canale d’Otranto per
accedere al Mediterraneo, colpì le nostre coste per un’ora circa.
Intanto andava crescendo il numero di
vittime concittadine: Angelo Rosito, primo ufficiale dell’esercito del regio a
morire combattente, il Tenente Umberto Magrone, Tommaso De Candia, Giacomo
Mazzara, il Sottotenente Sergio Bufi. Nelle foto dell’epoca non c’era spazio
per i sorrisi. I fiori sugli elmetti erano auspicio di una battaglia breve,di
qualche mese:si versò sangue per tre anni.
Guai a sorvolare sulla situazione che
si presentava al momento
dell’entrata in guerra da parte dell’Italia: il fine (sconfiggere gli imperi
reazionari dell’Europa Centrale e completare l’Unificazione) era senz’altro più
nobile di quello che spingerà la Penisola ad attaccare la Francia nel ’40. Guai
però anche a scordare che la maggioranza del Paese si rivelò neutralista e
forse restare alla finestra sarebbe bastato per accampare diritti sul Nord Est;
guai a dimenticare le esecuzioni esemplari di Cadorna per “educare”i militari
al rispetto degli ordini. La guerra è cattiva ed incattivisce l’uomo.
Coinvolgente il momento conclusivo
della manifestazione, con l’alzabandiera in Piazza Municipio, preludio
dell’inaugurazione della mostra presso la Sala dei Templari.
Scendere tra le antiche mura era come
fare un viaggio a ritroso nel tempo, accompagnati dagli inni patriottici della
Grande Guerra. Le uniformi e le armi d’epoca, la ricostruzione di una trincea,
l’elenco dei caduti molfettesi, le immagini propagandistiche, i proclami, tutto
rievoca storie di sacrificio e coraggio ai nostri ragazzi impegnati nelle
missioni di pace nelle zone più “calde” della terra.
La mostra seguiva un percorso
didattico pedagogico segnato da pannelli ricchi di foto e riproduzioni digitali
di documenti originali che consentivano al visitatore di seguire un itinerario
che lo conduceva dal Proclama della dichiarazione di guerra al più famoso
Bollettino della Vittoria. Il percorso si snodava tra immagini di primi piani di personaggi famosi come il Re Vittorio Emanuele, e un
illustre concittadino Gabriele Poli del corpo degli Alpini. Seguiva una teca
che custodiva la sua divisa originale completata da elmetto e giberne, e cosi
via pannello dopo pannello, comparivano volti ed immagini di giovani soldati
della città di molfetta, tutti in divisa, da soli o in gruppi… che non
sorridono!
Questa particolare nota, merita di
essere presa in considerazione, dato che di solito l’atto fotografico dovrebbe
esprimere un momento di allegria o per lo meno di serenità… ma quei volti sono
tutt’altro che spensierati, tutt’altro che sereni…
Lo sforzo che l’Associazione Eredi
della Storia ha profuso nell’organizzare questa mostra, costituisce una vera e
propria fototeca storica che dovrebbe essere assunta come un punto di
riferimento culturale, pubblico e permanente per la comunità di Molfetta.
Il successo di tale manifestazione
conferma l’esistenza di un desiderio sopito di conoscere e scoprire tutto ciò
che ha coinvolto e sconvolto la vita dei nostri padri.
A più di 80 anni di distanza dalla
fine della prima guerra mondiale, in cui morirono 680.000 italiani con circa un
milione di feriti e invalidi, è giunto il momento di ricordare il contributo di
Molfetta che ha donato oltre 500 giovani all’Italia e più di 1000 invalidi e
mutilati. Il motto che sovrasta un cimitero della Grande Guerra cosi recita:
“Non dimenticateci” e gli Eredi della Storia, nel loro piccolo, hanno
rispettato questa volontà.
5.2.2 - Una cronaca dell’epoca
Riteniamo opportuno ricordare, in
questo breve resoconto particolareggiato le trepidazioni vissute dalla nostra città a causa della feroce
barbarie nemica che, contro i principi di ogni diritto internazionale, spesso
si sfogò seminando la strage anche su città indifese.
Un biplano austriaco, che nascondeva
la sua nazionalità con bandiere italiane, dopo aver sganciato quattro bombe su
Bari, volò sulla nostra città, e dopo aver planato intorno all’obiettivo,
lasciò cadere quattro ordigni nei pressi della stazione ferroviaria con
l'evidente scopo di interrompere le comunicazioni ferroviarie.
Erano i primi giorni della guerra,
le quattro bombe scoppiarono con
grande fragore procurando per fortuna lievi danni. Solo quella caduta
sull'Oleificio in prossimità della stazione ferroviaria, produsse una vittima
nella persona dell'operaio De Palma Mauro.
La seconda incursione gli Austriaci
la fecero dal mare: fin dalle prime ore del mattino dell'11 agosto successivo i
nostri contadini che si recavano in campagna dalla parte della Madonna dei
Martiri avevano notato non troppo al largo, in direzione dei Tiro a Segno, una
nave che alcuni si fermarono anche a contemplare credendola dalla R. Marina. La
nave, il cacciatorpediniere “Tatra”, attese, l’alba per iniziare un fuoco
intermittente che durò oltre mezz'ora. Circa cento furono i colpi, diretti
contro gli stabilimenti, che furono danneggiati e contro i ponti della via
provinciale Molfetta‑Giovinazzo, evidentemente scambiati per ponti
ferroviari. Oltre i danni materiali non si ebbero a lamentare vittime.
Più micidiale invece la terza
incursione, che ebbe luogo verso le otto del 27 luglio 1916.
Questa volta i velivoli furono
parecchi: un'intera squadriglia, dopo aver tentato invano di forzare la linea
di fuoco che sbarrava l'ingresso sulla città di Bari, volò su Molfetta
sganciando le sue bombe.
La popolazione attendeva pacifica
alle sue occupazioni e molti erano saliti sui tetti per mirare quelli che per
l’epoca erano dei mezzi ancora straordinari e inusuali. In vari punti della
città echeggiarono i cupi boati degli scoppi delle bombe. I velivoli
sorvolarono sul nostro cielo circa venti minuti assolutamente indisturbati.
Dopo che si allontanarono si constatò
il doloroso bilancio della inumana aggressione: sette morti e dieci feriti per
lo più donne, fanciulli e vecchi.
Né meno rilevanti furono i danni
materiali. La cittadinanza fu commossa e visse giornate di dolore calmo e
dignitoso. Alle vittime per volere della civica Amministrazione dell'epoca,
sindaco il dr. Graziano Poli, furono fatti solenni funerali a spese del Comune.
Parteciparono tutti i cittadini, che sospesero il lavoro per raccogliersi
intorno alle bare di quelle vittime.
I poveri resti sono raccolti sotto il
Cippo, costruito anch'esso a spese del Comune che, non poteva trascurare la
rievocazione di queste dolorose pagine di storia cittadina.
5.3 - Una storia mai scritta: le
foibe (maggio 2004)
Un passo avanti contro la faziosità e
la demagogia: questo il fine ultimo della mostra fotografica e multimediale sul
tema "Italia Liberata, Trieste dimenticata: le foibe", organizzata
dall'Associazione Eredi della Storia"
di Molfetta, dalla Confederazione delle Associazioni Combattentistiche e
d'Arma, dall’ Associazione e Fondazione A.N.M.I.G. e, con il patrocinio dei
Comune e della Regione Puglia. Iniziativa che ha voluto stimolare il dibattito
su una delle pagine meno conosciute e più scomode della storia del secolo scorso: dal 1943 al 1947 migliaia di italiani della Venezia
Giulia e della Dalmazia vennero trucidati ed i loro corpi occultati nelle foibe (cavità carsiche) perché
italiani o rappresentanti delle
nostre istituzioni.
Tra le vittime, infatti, figurano
rappresentanti delle forze armate, civili, ed anche partigiani (molti dei quali
erano contrari all'epuzione).
Notevole il flusso di pubblico
(comprese molte scolaresche provenienti dai comuni limitrofi) che dal 25
aprile al 16 maggio ha visitato l’esposizione allestita chiostro e nella
Neviera della Fabbrica di San Domenico.
Nel chiostro hanno trovato spazio
pannelli a tema dedicati a diversi aspetti dei periodo storico preso in esame,
dal "Fronte greco ‑ albanese" a “ I Carabinieri in Istria 1940‑41",
da “La guerra di Liberazione in Italia” a “La lotta partigiana e guerra civile” concludere con l'elenco e le
foto dei “Comuni scippati
all'Italia” (ben 126), ossia i comuni che vennero assegnati alla Jugoslavia
(attualmente Slovenia). Nella neviera invece si poteva prendere visione delle
testimonianze relative al dramma delle, foibe (le foto sono state fornite dall'Associazione Nazionale Carabinieri e dall'associazione Continuità Adriatica)
Particolare attenzione è stata dedicata ai molfettesi coinvolti, come il
carabiniere Bergliaffa, il quale, costretto alla fuga, perse i contatti con la
propria famiglia (che venne trucidata); trasferitosi a Molfetta si formò una
nuova famiglia, il Marò Giancaspro e ancora, il finanziere Mininni.
Il tema è stato, poi, approfondito
nel convegno conclusivo che si è tenuto il 16 maggio.
Relatore il dott. Michele
Spadavecchia, consulente storico dell'Ass. "Eredi della Storia", il
quale, con l'ausilio di diapositive (circa 200) ha ricostruito le tragiche
vicende che si sono succedute in terra slava, dagli errori dei Fascismo, con le
manifestazioni antislave e la distruzione di tutto ciò che rappresentava la
tradizione slovena e croata, la "crociata cattolica" di Pavielic e
degli Ustascia, addestrati e sovvenzionati dall'Italia, al caos seguito alla
sua caduta, all'avvento dei partigiani di Tito e dei Cetnici (combattenti filo
monarchici anticroati), fino agli eccidi, per lungo tempo negati, delle foibe
ed al recupero dei resti delle vittime. Ricostruti anche lo scenario
internazionale, con i primi vagiti della Guerra Fredda, i contatti tra
Churchill e Tito, nonché gli accordi postbellici sui confini.
Toccante la testimonianza di un
sopravvissuto, il Ten. Graziano Cidovisí letta dal prof. Vincenzo Valente, il
quale ha sottolineato la piena attualità di tali vicende: "I popoli sopportano la guerra che ricade su di loro... le guerre sono volute dalle classi di potere, per spirito di ambizione, di comando, di
potere economico e il debole ne paga il fio'.
Al convegno ha preso parte anche una delegazione
di "Continuità Adriatica", associazione apolitica, nata a Trieste nel
1999 da un gruppo di amici, dedicati alla ricerca storica ed archivistica,
animati dalla volontà di accendere i riflettori su una "storia mai
scritta", il dramma belle foibe, appunto.
Tra le prime iniziative, ci ha
raccontato il presidente dell'Associazione, Dino Giacca, c'è stata una mostra
fotografica che, oltre Trieste, ha toccato diverse città dei nord Italia
(Padova, Milano, Bologna, solo per citarne alcune) che , in due settimane, ha
registrato oltre 1270 visitatori.
La manifestazione è stata, però,
accompagnata da notevoli polemiche sull'opportunità e sui tempi di
realizzazione.
A tale proposito riteniamo giusto
sottoscrivere un'affermazione espressa dal prof. Valente: un tributo alla
verità che bisogna avere il coraggio di guardare. Perché questo non accada mai
più.
5.4 - 2 dicembre ’43: il disastro di Bari (febbraio 2005)
La città di Molfetta visse anche
l'esperienza di alcuni bombardamenti: in uno morirono quattro molfettesi, in un
altro, qui la bomba fu gettata a mare nei pressi dello stabilimento balneare
'Don Cristallino", ci fu fortunatamente solo panico tra i bagnanti.
Terminata la guerra, furono scaricate nel mare, lì dove c'è la "Fossa
adriatica" ' enormi quantitativi di munizioni, invero ancora oggi
continua, specie presso Torre Gavetone, la bonifica da parte della Marina
militare. Particolarmente pericolosi si sono rivelati degli ordigni contenenti
gas chimici, tra cui l'iprite (così chiamata dalla città francese IPRES dove
venne usata per la prima volta nel 1917 dai Tedeschi), sostanza che, a contatto
con l'aria, vaporizza e colpisce i polmoni, le vie respiratorie causando in
pochi minuti la morte. Molti pescatori anche di Molfetta sono morti o sono
rimasti gravemente ustionati per aver tirato con le reti ordigni con questo
gas.
Il problema dell’iprite, purtroppo
ancora attuale, è l’argomento del convegno tenutosi nel febbraio 2005 avente
per titolo: “2 Dicembre’43: Il disastro di Bari”
Infatti, ancora una volta noi
dell'Associazione "Eredi della Storia" abbiamo voluto puntare i
riflettori su aspetti “nascosti” o minimizzati dalla storia dei vincitori.
La nostra azione si propone di
completare il mosaico degli eventi che hanno connotato gli anni controversi della
seconda guerra mondiale e del primo dopoguerra, fornendo documentati spunti di
riflessione a quanti hanno il coraggio di guardare alla storia senza
ideologismi e preconcetti. L'interessante manifestazione, realizzata
nell'ambito delle iniziative programmate per la Giornata della Memoria, è stata
organizzata in collaborazione con la Confederazione delle Associazioni
Combattentistiche e d'Arma e con la Fondazione A.N.M.I.G., ed ha ricevuto il
patrocinio dalla Regione Puglia, dalla Provincia di Bari e dal Comune di
Molfetta.
La ricostruzione storica dell'evento
è stata affidata al generale Giuseppe Picca, presidente dell'Istituto Nastro
Azzurro ‑ Federazione Provinciale di Bari, il quale ha evidenziato come
il bombardamento di Bari sia stato il peggiore disastro, dovuto ad un
bombardamento aereo, subito dagli Alleati, dopo Pear Harbour, con
l'affondamento di 15 navi ed il danneggiamento di molte altre, e come
l'accaduto abbia influenzato le successive operazioni belliche; eppure si di
esso, per decenni, è calato il silenzio, al punto di non trovarne traccia
neanche nelle più approfondite ed accurate storiografie.
Il mistero è presto svelato. Subito
dopo il verificarsi dei fatti, su di essi è calata una cortina di silenzi
poiché Whiston Churchill aveva posto il veto sulla diffusione di tali notizie,
preoccupato di occultare una grave infrazione da parte degli Inglesi: nel porto
di Bari erano presenti delle bombe che non avrebbero dovuto esserci.
Si trattava di 2000 bombe N47A,
ordigni carichi di iprite, sostanza scoperta dai Tedeschi ed utilizzata durante
la Grande Guerra. Subito dopo il conflitto la micidiale "arma di sterminio
di massa" era stata messa al bando ma, come sempre accade, era ancora
utilizzata segretamente.
Le bombe inesplose furono smaltite in mare per volontà degli
americani, con pericoli incalcolabili a tutt’oggi presenti; un numero
imprecisato di vittime fu contaminato dalle esplosioni e riportò in seguito
gravi danni; da quel momento la censura militare, preoccupata delle
ripercussioni sull’opinione pubblica, oppose il suo veto alla diffusione di
notizie sull’accaduto;
A farne le spese migliaia di americani e di baresi, che morirono senza che se
ne conoscesse la causa reale. Con loro numerosissimi pescatori molfettesi, che
troppo spesso sono venuti inconsapevolmente a contatto con la terribile
sostanza chimica, anche in anni recenti.
Dopo l'8 settembre, con l'arrivo
degli Alleati, che peraltro precedentemente l'avevano risparmiata, Bari era una
città tranquilla, in cui era tornato un relativo benessere e, con esso, la
voglia di divertirsi.
Gli Alleati, da parte loro, erano
intenzionati a realizzare la 15 Air Force, ossia un terzo fronte aereo, dopo
quello inglese e russo, ma sottovalutarono la reale forza aerea tedesca.
Il porto di Bari era un importante
scalo logistico, per cui oggetto di una intensa che non conosceva soste,
neanche di notte. I radar guasti e l'area portuale illuminata a giorno
favorirono enormemente il 1avoro" dei 105 bombardieri tedeschi.
Non è semplice descrivere l'inferno
che ne segui. Il dramma fu aggravato dalla presenza dell'irite. La nave carica
di bombe venne colpita da schegge incendiate, che provocarono dei focolai, ben
presto diventati ingovernabili. Alle 20.30 del 2 dicembre 1943 la nave si
inabissa. Non tutte le bombe N47A, però, esplosero; una parte dell'iprite si
mescolò alla già pericolosa poltiglia di acqua e petrolio, altri ordigni
rimasero sul fondo del mare. L’Azoiprite ormai è mischiata alla nafta
incendiata e, il fumo che produce diventa un potentissimo veleno. Bari e la sua
popolazione ringraziano il vento che ha risparmiato alla città una storia più
agghiacciante. Le vittime accertate fra militari e civili sono più di 2000. I
feriti militari sono soccorsi al Policlinico, gestito dal Comando Neozelandese,
ma vengono curati in modo
superficiale. Questo perché i medici ignorano del tutto il problema Iprite.
Tanto che a numerosi marinai è diagnosticata “congiuntivite”. Per i civili non
c’è spazio neanche per questi errori e, li lasciano al loro nero
destino. Nessuno informò i soccorritori, che intervennero senza alcuna precauzione. Dopo pochi giorni
cominciarono le morti "inspiegabili".
Le caratteristiche dell'iprite ed i
suoi nefandi effetti sono stati descritti dal dott. Michele Spadavecchia,
nostro consulente storico, che ha ricordato come per liberare il porto di Bari
dagli ordigni inesplosi si pensò bene di inabissarli, avvalendosi della
marineria locale (pagata a viaggi).
Non tutte le bombe finirono alla profondità stabilita; di conseguenza nel corso
degli anni molti marinai, soprattutto in estate (il gas a temperature superiori
a 13' volatilizza) sono venuti a contatto con le sostanze vescicanti,
riportando danni permanentì, che in taluni casi hanno pregiudicato il prosieguo
dell'attività.
A dare ancora maggiore rilevanza al
convegno è stata la proiezione di foto inedite che hanno mostrato i personaggi,
i mezzi, le dinamiche e le conseguenze dei fatti raccontati.
Eventi che continuano a ripetersi,
pur se a latitudini e con personaggi diversi.
Diventa, allora, necessaria la nostra
attenzione e la nostra riflessione affinché le nuove "tecniche", le
nuove "sperimentazioni", vengano utilizzate unicamente per scopi
scientifici e benefici.
Ma questo, come ha affermato il dott.
Spadavecchia, “è un atto di fede nell'onestà e nella moralità degli addetti ai lavori”.
5.5 - Molfettesi nella guerra italo-turca 1911-1912 (novembre 2005)
Ancora un’altra fatica per i giovani
dell’ Associazione Eredi della Storia e della Fondazione A.M.N.I.G..
Questa volta li vede impegnati in una ricerca ardua ma ricca
di colpi di scena. In effetti, si tratta di una guerra che l’Italia sembra
voler non ricordare. In assoluto tutto ciò che riguarda il rapporto Italia e
Africa tende a rimanere nascosto, come se l’Italia volesse disfarsi del suo
passato, quasi un non potere o volere fare i conti con esso, una rimozione nazionale che è sempre più evidente
e che impedisce di analizzare gli errori e di prevenirne il futuri come in ogni società civile matura. Appena
quindici anni dopo la sconfitta di Adua(1986), scoppiò la seconda guerra
coloniale dell’Italia: quella per il possesso della Libia(1911-1912),
combattuta contro la Turchia, sotto la cui sovranità si trovava quella regione.
Quale furono le cause della
guerra?Una apparve evidente:le regione africane bagnate dal Mediterraneo erano
bagnate da altre potenze(Francia e Inghilterra) con l’unica eccezione della
Libia e quindi c’era il serio pericolo che veniva occupata da qualche altra
nazione e che l’Italia rimanesse soffocata nel Mediterraneo. Pertanto durante il ministero di Giolitti,
l’Italia conquistò la Libia.
L’Italia dimostrava un notevole
slancio economico con lo sviluppo della produzione industriale, con il pareggio
del bilancio dello Stato, nell’aumento della popolazione. Nuove forze si
affacciavano nella scena politica;i cattolici (non più astensionisti) i
socialisti che davano vita nel
1906 alla CGL (Confederazione
Generale del Lavoro) mentre si organizzavano i primi nuclei del movimento
nazionalista. La spinta nazionalistica alla guerra ebbe senza dubbio gioco facile nel provocare il conflitto italo-turco. Ma trovarono la loro
parte anche precisi interessi economici che l’Italia aveva maturato. Tra essi
annota il Calibrizzi: “il grande merito
di aver potentemente sviluppato gli interessi economici in Libia spetta al Banco di Roma“. Questo istituto
inaugurò una sua succursale a Tripoli il 15 aprile 1907, poco dopo esso aprì
agenzie a Bengasi, a Derna , ad Homs, a Misurata, a Zaura ecc..[...] Esso non
limitò la sua attività alle operazioni puramente finanziarie, ma promosse, con
audacia lo sviluppo commerciale e
industriale. Infatti il Banco di Roma, acquistò anche terreni per esperimenti di coltura agraria,
provvide all’impianto delle fabbriche di ghiaccio, di mulini meccanici,di
oleifici,[…] esercitò infine due linee di navigazione7.
Il governo turco moltiplicava atti di
dispregio verso i cittadini italiani residenti e cercava ogni pretesto per ostacolare
l’attività o danneggiarli. Le cose erano giunte a tal punto che il Banco di
Roma vedendosi esposto a gravi danni, parve avesse aperte trattative per cedere tutti questi suoi interessi ad un gruppo di
banchieri austro-tedeschi.
La guerra appariva quindi l’unica
soluzione al Giolitti, e non solo a lui, per scongiurare tale pericolo..
Ad opporsi alla guerra furono
Repubblicani e socialisti. Ed è qui che comparve il grande storico e politico
molfettese Gaetano Salvemini, avversario di Giolitti.
Secondo il Nostro illustre
concittadino, la mossa del Banco di Roma avrebbe mirato a ben altri intenti
sostenendo che: ”Il Banco di Roma, che
nel 1905 aveva avuto l’incarico di
fare la penetrazione economica della Libia” e l’aveva fatta con affari sbagliatissimi rendendo odiosa l’Italia agli indigeni,
aveva bisogno di assicurarsi , senza ulteriori ritardi i frutti dei capitali
arrischiati. E per eccitare il governo a smettere ogni indugio, aveva
nell’estate del 1911 concluso un
compromesso con un gruppo di banchieri tedeschi, mediante cui si preparava a cedere loro tutti i diritti di cui
era investito in Libia8. Nel
Banco di Roma poneva “tutti i suoi
risparmi il Vaticano”; e ciò spiegherebbe la mancata opposizione dei cattolici
alla guerra di Libia.
L’ultimatum italiano alla Turchia fu
presentato nella notte dal 26 al 27 settembre 1911 a Costantinopoli.
Il 29 settembre cominciarono le
ostilità che videro come primi protagonisti la Regia Marina con i suoi marinai
utilizzati come truppe da sbarco che sotto la guida del comandante Umberto Cagni occuparono Tripoli, poi Tobruk,
Derna, Bengasi, Homs.
In questa fase di conquista partecipa
il concittadino “tenente Amato Luigi”,
comandante di plotone della 3^ Compagnia del 6° Reggimento di Fanteria, che con
spiccata bravura e dimostrando ottime qualità di comandante, partecipò alle
operazioni per l’occupazione di Ain Zara (4 dic. 1911) e al combattimento
di Bir Tobras (19 dic. 1911).
Verso la fine di gennaio 1912 il ten. Amato si ammalò di catarro intestinale e fu ricoverato in ospedale
turco e poi il 21 febbraio fu fatto rimpatriare. Durante le elezioni politiche
indette per il 26 ottobre 1913 venne mandato in servizio d’ordine
in terra di Bari dove l’atmosfera era concitatissima. A Molfetta in particolare
si scontrarono i contrapposti schieramenti politici facenti capo a G. Salvemini
e Pietro Pansini. La candidatura del collegio Molfetta - Bisceglie di Salvemini
era appoggiata dalle
organizzazione operaie, degli insegnanti, dagli emigrati; la candidatura del Pansini era appoggiata dai ricchi e dagli agrari. Le
elezioni furono precedute da tumulti e da scioperi , tali da ricorrere
all’invio in Puglia di reparti dell’esercito che contribuirono con le forze dei polizia, al mantenimento
dell’ordine pubblico9. Altro cittadino
molfettese fu il S. T. Vascello Panunzio Tommaso che a bordo della torpediniera
Spiga sotto il comando del C.V. Millo Enrico partecipò al raid del Dardanelli
meritando una medaglia Argento al Valor Militare, col marinaio scelto
Spadavecchia Francesco che venne insignito di Medaglia di Bronzo al Valor
Militare, ed altri cinque tra marinai e motoristi che ebbero un encomio
solenne da parte dell’Ammiraglio
Aubry.
E poi ci sono i risvolti civili e non
solo militari come il problema degli italiani espulsi dalle terre turche allo
scoppio selle ostilità. Interi nuclei familiari (composte da sette a dieci
persone fra adulti e bambini) furono accolti nella nostra città ma costretti a
vivere in condizione di miseria nei cosiddetti sottani.
Comunque quella di Libia fu una
guerra che segui il cammino obbligato delle campagne coloniali: facile
occupazione della costa al principio, ma, in una seconda fase difficile e
logorante “guerra di penetrazione”.
Vi furono anche molti pugliesi che
perirono sotto il fuoco turco (Centrone Francesco, nato a Molfetta soldato
dell’11° Regg. Fanteria, (muore a Sidi Garbàa il 16 maggio 1913), e molti
furono decorati al valore.
5.6 - 1900‑1945: dalla
microstoria alla macrostoria (giugno 2006)
L’Associazione Eredi della Storia e
Istituto Magistrale Statale "Vito Fornari" di Molfetta hanno
collaborato per la realizzazione del
progetto‑mostra sul periodo del 1900-1945 ha permesso a noi giovani che
abbiamo partecipato attivamente all’allestimento, di "toccare con
mano" le realtà dell'epoca, fatta di sofferenze e di sacrifici, di
assaporare le atmosfere e respirarne le essenze, ricreando scorci e momenti del
passato, tramite la ricostruzione di scene di vita comune.
Il progetto scolastico è stato quello
di “fare storia”, cioè seguire un percorso che ha origini dalla storia locale
per poi ampliarsi in un contesto nazionale ed internazionale. La storia a noi
vicina, quella raccontata dai nostri nonni e dai testimoni di quell’epoca che
vede come protagonista la gente comune che deve affrontare i problemi
quotidiani in un contesto storico disseminato di eventi terribili, quali la
Guerra di Libia (italo‑turca), l'epidemia del colera, la Grande Guerra,
l'epidemia della spagnola. il secondo conflitto mondiale, il ventennio
fascista, la caduta della monarchia.
Particolarmente interessante si è
rivelato l'allestimento dell'esposizione, che ha visto la ricostruzione di
diversi ambienti d'epoca, come una trincea (nella quale sono stati
"assemblati" cimeli della la e della 2a Guerra Mondiale) o un'aula
scolastica del Ventennio, con un tipico banco di legno, il crocifisso ed i
ritratti di Mussolini e di Vittorio Emanuele III, o, ancora, una tavola
imbandita per gli ufficiali delle truppe di occupazione nelle colonie. Ogni
sezione prendeva in esame un particolare argomento: dall'emigrazione agli
antichi mestieri scomparsi (con alcuni attrezzi artigianali, come i fusi o la
ruota dentata utilizzata per la realizzazione di funi, dal ruolo delle donne ai
giochi, dal matrimonio al carnevale. Diversi cimeli in esposizione hanno
destato notevole curiosità, come le tessere per il pane, foto della prima banca
molfettese: la Banca Farinola, le divise o la valuta italiana.
Molta attenzione è stata dedicata
alla vita in città, le tradizioni, la quotidianità dove anche le foto più
tranquille ricordano terribili
momenti di follia bellica; non vi sono scene cruente con esplosioni o con
feriti gravi, ma il tutto
è presentato in una atmosfera a dir
poco serena
Inoltre erano presenti foto di gruppi di giovani sorridenti, vacanze
al mare, condivisione del cibo con bambini sul fronte, civetteria nel costumi
della moda che evolve, ecc.
Infatti notevole attenzione è stata
calamitata dal settore dedicato alla moda, in cui erano esposti abiti dal primo
Novecento sino agli anni Venti, lingerie in seta, vezzosi cappellini ed
accessori (dai gioielli da mezzolutto agli ombrellini per il sole, dai ventagli
di madreperla al libricini per la Messa), abitini per il Battesimo o la Prima
Comunione, corredati da foto d'epoca.
La moda ha sempre avuto grande
importanza nella società. All'inizio del secolo la moda femminile risentì
dell'influenza inglese e francese: la linea della veste seguiva, con
morbidezza, quella della figura femminile e anche i colori si fecero più
delicati
Negli anni '20 le gonne cominciarono
ad accorciarsi sempre più sollevando critiche accese e accuse di frivolezza,
come si può leggere in un articolo di Luce e vita dell'agosto 1933: Le giovani
e le piccole italiane devono dare anche esternamente,
dal loro modo di vestire,
l'impressione della serietà e dell'educazione fascista che è loro impartita ... Si parlava anche di
una tassa che le ragazze sopra i 12 anni che portavano un taglio di capelli
troppo corti dovevano pagare.
In effetti, la donna in quel periodo
ha dovuto affrontare momenti in cui doveva dimostrare tutto il suo coraggio e
la sua forza, .... Per esempio, assistere alla partenza dei propri cari per il
fronte, lasciare la propria terra per emigrare in posti lontani, reggere una
famiglia, di solito numerosa, senza il sostegno del marito o del padre,
partorire in condizioni igieniche disperate, piangere la scomparsa del
congiunto morto o disperso sui fronti di guerra, ma sempre con dignità, sempre
con coraggio .
All’ inizio del '900 le donne si
occupavano essenzialmente delle faccende domestiche e quindi passavano molto
tempo in casa: la loro dimora era la cucina e gli oggetti che la arredavano
erano: la chéndarìedde, ossia la
conca di terracotta, le cicemùcheIe, ossia
il lucerino di terracotta dove si conservava l'acqua, u fraséiere cu péete, ossia il braciere con il piede di legno, ecc.
Se la maggior parte delle donne maritate lavoravano in casa e badavano al
marito ed ai figli, silenziose e remissive, altre donne si occupavano di cucire
e di ricamare presso la màièstre ossia
la maestra di cucito. Le donne anziane rattoppavano i vestiti, moltissime
cucivano con chènòcchie o la metènare invece le donne dei pescatori
si dedicavano a rammendare le reti chiamate pezzecudde. Le donne giovani, invece, lavoravano sulla biancheria oppure piano, piano
ricamavano oro corredo matrimoniale. Esse non uscivano mai da sole e solo la
sera, affacciate al balcone, ascoltavano le serenate dei loro amici e poi
andavano subito a letto.
Documenti che hanno suscitato una
certa curiosità sono quelli relativi al cosiddetto matrimonio concordatario
Che mondo quello sconvolto dalla
guerra! Mondo che intralcia gli affetti, l'amore!
Durante il secondo conflitto
mondiale, oltre ai normali matrimoni che si celebravano in Chiesa, in virtù del
Concordato del 1929, tra lo Stato italiano e lo Stato del Vaticano, vi era
anche il matrimonio religioso celebrato in virtù dell'art. 13 della Legge 27‑5‑1929,
n° 847. Detta legge abbreviava l'iter burocratico, per agevolare i giovani
soldati a contrarre regolare matrimonio. Per detta legge, o per meglio dire,
per detto art. 13 bastava l'autorizzazione del Comando superiore del militare
senza alcun'altra certificazione, nè vi era alcun obbligo di procedere alle
pubblicazioni che si affiggevano all'albo pretorio, per 15 giorni. Era
d'obbligo però, da parte del Comune di residenza, tenere affisso per 10 giorni
l'avviso della avvenuta celebrazione del matrimonio, dopo la necessaria
trascrizione sui registri di Stato civile (Registro matrimoni) con l'indicazione
delle generalità degli sposi.
Praticamente gli sposi rimanevano
pochi giorni insieme, perché lo sposo militare era obbligato a raggiungere il
suo reparto al più presto possibile, altrimenti veniva dichiarato disertore. La
pena era pesantissima, si rischiava anche la fucilazione.
Abbiamo voluto “Fare storia" in
maniera diversa dal solito, evitando classiche nozioni infarcite di date e di
nomi esprimendo concetti, metodiche di ricerca, (archivi storici, ricerca
bibliografica, ecc.)
per far crescere nello spirito dello
studente la curiosità che spinge alla ricerca, lo sviluppo di quel senso
critico che rende liberi di decidere in maniera autonoma. Crediamo che con
questo lavoro si sia rispettato il concetto didattico di “fare storia” secondo
i canoni moderni, che faranno apprezzare questa materia resa più
"piacevole" come oggetto di studio.
La preparazione e la raccolta del
materiale è stata lunga e laboriosa. I lavori sono partiti dal novembre 2005 e
la ricerca bibliografica è stata svolta dalle studentesse della 2 a A/L, 3 a
B/P e 4' AIL presso gli archivi storico‑comunali delle proprie città
(Molfetta, Giovinazzo, Bisceglie, Bitonto) con grande impegno, che gravava già
sul normale carico di studi.
Il lavoro di sintesi, difficilissimo
per poter riassumere 45 anni di storia densa di avvenimenti, è stato svolto
dalla prof.ssa Rita Finzi e dal dr. Michele Spadavecchia, presidente della Ass.
Eredi della Storia. Preziosissima è stata la decisiva collaborazione della
prof.ssa Nanda Amato che gentilmente ha concesso di poter usufruire del
materiale fotografico, documentario e oggettistico raccolto e con servato dal
padre Gen. Luigi Amato. La logistica è stata curata dal sig. Sergio Ragno quale
commissario dell' Istituto Nastro Azzurro Sez. di Molfetta.
5.7 - Altre attività dell’associazione
5.7.1 - Tornano le spoglie di Giovanni de
Cesare
Per non dimenticare. Due iniziative
per sottolineare il sacrificio della gente in Terra di Bari nell’ultimo
conflitto mondiale.
Sono stati inumati nel Sacrario del
cimitero di Molfetta, al termine di una cerimonia eucaristica celebrata nella
parrocchia di S. Domenico, i resti di Giovanni de Cesare marò morto ad Edmen in
Germania il 28 gennaio del 1944. De Cesare fu catturato dai tedeschi a
settembre del 1943 mentre era imbarcato come fuochista sul piroscafo Corso
Fourier. Dopo essere stato internato fu imbarcato sulla Sculte con funzione antiaerea nel porto
di Wilhelsmhaven in Germania. Perse la vita durante uno degli attacchi aerei.
Nel 1958, per interessamento del Commissario generale onoranze caduti in guerra
del Ministero della Difesa, i suoi resti mortali furono traslati nel Cimitero Militare Italiano d’Onore
di Amburgo. Solo oggi, ad oltre sessant’anni dalla morte, sua figlia Enza, grazie all’aiuto
dell’Associazione e della Fondazione A.M.N.I.G., ha chiesto ed ottenuto che i
suoi resti ritornassero a Molfetta. Sempre, nello stesso giorno, il convegno
nella sala Finocchiaro, della fabbrica S. Domenico: incontro dibattito che ha
avuto come tema “2 dicembre 1943”. Il disastro di Bari, il segreto degli
Alleati “l’iprite”.
5.7.2 - Riscoprire tradizioni perdute
E’ dal lontano 8 settembre 1943,
giorno in cui fu reso pubblico l’armistizio firmato segretamente dal
Maresciallo Pietro Badoglio, che a Molfetta ha perso un’antica tradizione degli
anni ’30, oggi nuovamente riscoperta.
Si trattava del tradizionale e
simbolico dono offerto da parte del Comandante del Porto alla città di Molfetta
di una bandiera della Regia Marina Militare. L’intento di tale rito era quello di ricordare all’intera
cittadinanza il coraggio e l’eroismo dei soldati e marinai e in particolar modo
dei mitilati della I Guerra Mondiale.
Esattamente dopo 63 anni dall’armistizio, lo scorso 8
settembre, in concomitanza con la festa patronale della Madonna dei Martiri, il
C.F. Luigi Leotta Comandante della Capitaneria di Porto di Molfetta, ha
ripristinato l’antica tradizione donando alla Fondazione A.M.N.I.G. e all’
Associazione Eredi della Storia, la bandiera della Marina Militare. Con il
ricordare tale consuetudine, il Comandante ha voluto sostituire l’ormai logora
bandiera, donata dall’Amministrazione Comunale il 7 gennaio 2003, in occasione
della Festa del Tricolore.
5.7.3 - Intitolata una via ai Caduti di
Nassyria
Il 20 dicembre del 2003 poco dopo la strage del 12 novembre in
Iraq, Molfetta ha voluto ricordare i 19 italiani (12 carabinieri, 5 militari
dell’esercito e 2 civili) caduti nell'attentato di Nassyria.
E lo ha fatto certamente nel miglior
modo possibile: dedicando loro una via della città.
A partire da quella data, infatti, il
tratto di strada, già via Giovinazzo, compreso tra il campo sportivo Paolo
Poli" e, non per mera casualità, la caserma dei Carabinieri, ha assunto il
nome di "Via Caduti di Nassyria".
La decisione di intitolare una strada
alle vittime di Nassiria, come ha disposto la commissione toponomastica del
Comune, è nata accogliendo l’istanza presentata dall'associazione Eredi della Storia e
dall'associazione nazionale mutilati e invalidi di guerra. Si tratta della prima
iniziativa del genere in tutto il Sud Italia. Fino a quel momento solo Sassari
ha già provveduto alla intitolazione di una piazza, e costituisce certamente un
esempio da seguire per le amministrazioni comunali di tutta Italia.
«Il
nostro lavoro ha lo scopo di aiutare queste popolazioni, ‑ scriveva
una settimana prima dell'attentato, il tenente Nicola Germinario, molfettese scampato all'attentato,
impegnato con la Brigata Sassari a Nassiriya ‑ riportarla a quella che dovrebbe una normale e più umana condizione di vita e magari donare pace ad un popolo martoriato da anni di
dittatura, di quella pace che ha fame e sete, forse ancor più del cibo e
dell'acqua che quotidianamente i nostri militari donavano, e donano ancora, al
bambini di Nassyria.
Ed è anche per ricordare i suoi
colleghi, gli, che la intitolazione della strada diventa un atto dovuto, un riconoscimento per quelli che non ci
sono più e per quelli che sono rimasti.
5.7.4 - Celebrazioni: il 2 Giugno a
Molfetta
Il Professor G. De Gennaro, nell'articolo
apparso su 'L’altra Molfetta”Dell'ottobre
1995. presenta uno spaccato della società molfettese nel periodo precedente
alla consulta referendaria.
Ricorda quel 2 giugno 1946 quando la
popolazione, impegnata al rito elettorale. rimaneva paralizzata dal dubbio
nelle cabine, oppure equivocava di fronte ai simboli, determinando
l'annullamento del voto. 1 molfettesi avevano seguito i comizi come
manifestazioni folcloristiche senza un'idea precisa della importanza del voto.
Le donne erano tutte per il sindaco 'Don Matteo "orientato alla scelta
repubblicana. Anche gli emigrati nelle Americhe, avevano vissuto l'esperienza
repubblicana e che sapevano benissimo che non significava anarchia (come si
diceva), erano favorevoli alla repubblica. Molti professionisti si dichiararono
apertamente per la repubblica senza timore del "salto nel buio‑‑‑. Il clero era per la
monarchia e trascinava un esercito di fedeli; anche una parte del mondo
contadino, specialmente i piccoli proprietari agricoli, erano decisamente per
il re. Estranei al dibattito politico erano i pescatori e i marittimi perché
frequentemente assenti dalla vita cittadina.
I risultati delusero tutti coloro che
avevano creduto nella città di Salvemini; la paura del "salto nel buio" e il clima politico delle elezioni per
la Costituente avevano influenzato il problema istituzionale.
A tanti anni di distanza
Il 2 giugno a Molfetta si svolge
finalmente come una vera festa degli Italiani, scandito da momenti celebrativi
e dalle note di musica classica eseguite dall’ Ass. Musicale “Santa Cecilia”;
la cittadinanza partecipata
numerosa all’evento che grazie all’impulso all’orgoglio nazionale del ex
Presidente Ciampi e dell’attuale Capo dello Stato Napolitano si consolida ogni
anno e lo ripropone come segnale di pace e di speranza e di libertà.
In occasione del bicentenario della
nascita di Giuseppe Mazzini, un grande Padre del Risorgimento che contribuì a
seminare dall’esilio i valori di unità nazionale, il corteo costituito dalle
associazioni combattentistiche e d’arma ha depositato un corona al monumento;
quindi, presso la villa comunale
si è reso onore ai Caduti di tutte le guerre sulle note del silenzio e
dell’inno nazionale.
Presso piazza Municipio “salotto”
della città, il Sindaco e le autorità civili e militari hanno consegnato
diplomi e medaglie celebrative ai soci novantenni della locale sezione
“Combattenti e Reduci” presieduta dal Prof. Giuseppe Binetti; per l’occorenza
la Casa Madre dell’associazione con sede a Roma, ha coniato una medaglia
commemorativa riportante su un verso l’elmo della Grande Guerra.
l’emozione è stata enorme,
tutti questi uomini aggiungono sul
loro petto forse la migliore delle decorazioni, quella dell’amore e dell’onore
che Molfetta riconosce ai propri padri: il coraggio e il sacrificio sono
memoria storica che va tutelata e preservata.
5.7.5 - Presentazione del libro:
La mia bonifica, storia di una guerra continua
(gennaio 2007)
L'associazione Eredi della Storia e
la Fondazione ANMIG hanno
presentato il 7 gennaio del 2007, presso la Sala Finocchiaro della Fabbrica di
San Domenico, il libro "La mia bonifica" scritto dal barese Giovanni
Lafirenze.
Il libro, di natura autobiografica,
tratta della vita e del lavoro dei BCM (bonificatori di campi minati), che ogni
giorno combattono la loro guerra contro gli ordigni inesplosi nascosti in vari
territori.
L'autore dei libro Giovanni Lafirenze
è un Assistente Tecnico della bonifica bellica ed in qualità di artificiere e
rastrellatore è impegnato nei territorio nazionale italiano nella bonifica
degli ordigni esplosi ed inesplosi della prima e seconda guerra mondiale. Per
una passione storica, ogni qual volta ritrova un ordigno, approfondisce le
nozioni su di esso (da dove viene, se è caduto dal cielo o da terra, se
appartiene alla prima o alla seconda guerra ecc) e così facendo con il tempo ha
acquisito una competenza in materia, tale da poter scrivere un romanzo in cui,
accanto a dettagliati excursus storici, racconta anche le sue esperienze
personali, le emozioni, le soddisfazioni, i timori che si vivono in team,
quando ci si trova a tu per tu con un ordigno non esploso.
Ad introdurre la conferenza è stato
l'avv. Nico Bufi, che attraverso l'ausilio di un filmato ha illustrato quella
che è l'attività dei BCM dal ritrovamento dell'ordigno fino alla sua
brillatura.
Con l'avv. Gadaleta, ricercatore
dell'Associazione, invece, si sono analizzati i vari tipi di ordigni presenti,
il quantitativo di bombe inesplose presenti sul nostro territorio (circa
350.000 tonnellate di esplosivo), e l'attività di bonifica che si sta attuando
da anni .
Una visione storica di quella che è
stata l'evoluzione del percorso di bonifica è stata fornita dal dott. Michele
Spadavecchia, che ha prima mostrato manifesti degli anni 45‑70, nei quali
si illustravano i rischi derivanti dall'utilizzo di materiale bellico inesploso
da parte dei bambini.
Il libro è anche un testo di
denuncia, che dimostra quanto rispetto ad un esiguo costo di fabbricazione
delle mine corrisponde un elevato costo per la bonifica di un intero campo minato.
Grazie all'ausilio del sostituto
commissario della Polizia di stato di Bari, dott. Cutolo del gruppo degli
artificieri, si è fatta una sorta di raffronto tra l'opera dei BCM e l'opera
degli artificieri, in un periodo in cui è facile essere vittima di attentati
anche di natura terroristica e delle difficoltà che questo mestiere presenta.
L'intervento dell'autore ha
evidenziato come per superare una riabilitazione dura, derivata da un grave
incidente occorso sul lavoro, scrivere un libro e raccontare la propria
esperienza può essere utile.
Molti sono stati gli interventi dei
presenti, che hanno cercato di trovare risposta ai quesiti che man mano si
ponevano come la formazione dei BCM, ovvero notizie sulle scuole di Formazione
presenti per lo più a Roma e sui moderni ordigni, le cosiddette bombe
intelligenti che tanto intelligenti non sono.
Con la conferenza del 7 gennaio ci si
è resi conto che una guerra non termina mai con la firma di un armistizio, ma
in realtà la sua forza devastatrice continua, mietendo vittime quasi sempre
indifese come donne e bambini, con le mine, subdoli ordigni la cui presenza si
riscontra solo ad incidente avvenuto.
L'unica speranza, quindi, è che
l'uomo una volta per tutte capisca gli errori già commessi in passato e si
adoperi per non commetterne più.
5.7.6 - Scoperta
una lapide per il sergente Mastropierro
La città si è riappropria di un
tassello della sua memoria storica, infatti presso l’Istituto Magistrale “Vito
Fornari” si è tenuta una solenne cerimonia in occasione dello scoprimento della
lapide commemorativa del Sergente Allievo Ufficiale Francesco Saverio
Mastropierro.
Casualmente riscoperta nel deposito
dell'istituto, l'iscrizione, opera di Giulio Cozzoli, è dedicata ad un ex
allievo del Magistrale, Francesco Saverio Mastropierro, appunto, che,
arruolatosi come volontario, perse la vita nel novembre 1941 a Peres (Serbia)
mentre difendeva un convoglio di civili dall'attacco dei partigiani di Tito.
Originariamente posta nella prima sede dell'istituto ha subito la medesima
sorte della struttura. che diversi decenni or sono venne demolita.
La lapide, rinvenuta seriamente
danneggiata, è stata restaurata grazie all'intervento dell'Associazione Eredi
della Storia.
Alla cerimonia, patrocinata dalla
Provincia di Bari e dal Comune di Molfetta, hanno preso parte il fratello del
Sergente Mastropierro, il presidente della Provincia Vincenzo Divella, i
consiglieri provinciali molfettesi, il Commissario Prefettizio al Comune di
Molfetta Alfonso Magnatta con il gonfalone della città, il C.E Luigi Leotta,
Comandante la Capitaneria di Porto di Molfetta, con un picchetto d'onore,
rappresentanti di tutte le associazioni combattentistiche presenti sul
territorio, i generali Picca ed Angrisani, il dott. Pietro Centrone, che tanto
si è prodigato per l'iniziativa.
Conclusioni
Al
termine del nostro studio è possibile giungere ad alcune considerazioni finali.
Tanto parlare di Molfetta non è
voluto essere espressione di campanilismo ma consapevolezza della propria
identità.
A formare la coscienza storica di
questa identità hanno contribuito
uno spirito di appartenenza originato
da diverse componenti sviluppatesi nel corso della storia ultra millenaria
della città. Spesso dettato dalla necessità di conservare le proprie origini e
di preservare le proprie tradizioni, costumi, usanze, in terra straniera,
creando“ponti culturali” attraverso i quali i molfettesi emigrati e i marittimi
hanno avuto modo di tenere i contatti con la propria terra d’origine.
Abbiamo infatti evidenziato come la vivacità
culturale della città di Molfetta si sia espressa anche mediante l’associazionismo,
la comunicazione e il culto delle tradizioni, facendo sì che venissero messe in
luce anche vicende che riguardano la città e i suoi cittadini: alcuni dei quali
distintisi attraverso le loro gesta, hanno dato un forte contributo alla conservazione
del patrimonio culturale - storico cittadino. La cittadinanza, infatti, ha da
sempre mantenuto gelosamente il ricordo di questi figli illustri considerandoli
un valido esempio da seguire.
Molfetta ha comunque saputo apprezzare
questa opera volontaria di aggregazione, conservazione e di divulgazione, premiando gli sforzi di chi in essa si
è cimentato a protezione della memoria e della tradizione locale, importante nel panorama culturale
cittadino.
Il costante flusso di visitatori ed i
lusinghieri apprezzamenti espressi, testimoniano l'interesse suscitato dalle
iniziative. Infatti, per
arricchire e completare l’opera di
divulgazione e promozione che gli eredi della storia provvederanno alla
pubblicazione di un catalogo o
molto probabilmente di un libro,
oltre che alla possibilità di creare un sito web riguardante l’attività
dell’associazione.
E’ un lavoro che ci auguriamo sia
avvincente, interessante, coinvolgente, quanto per noi sono state le ricerche,
le raccolte, le osservazioni dei documenti ritrovati e i racconti dei testimoni
storici .
BIBLIOGRAFIA
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Meridiana, Molfetta, 1997
-
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pensiero meridiano, Laterza, Bari, 1996
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S.Cilibrizzi, Storia parlamentare, politica e diplomatica d’Italia. Dante
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1963
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W. Brian Altano, Da Respa a Molfetta. L’evoluzione
di un popolo, Edizioni Mezzina, Molfetta, 1981
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G. de Marco, Molfetta tra passato e presente,
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S. Magarelli, Don
Tonino Bello servo di Cristo sul passo degli ultimi, Edizioni Mezzana,
Molfetta, 1996
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Molfetta, Edizioni Mezzina, Molfetta, 2007
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Molfetta, 2002
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corsara, L’immagine 1995
-
G. Lafirenze, La mia bonifica. Ordigni inesplosinei conflitti mondiali, Florestano, 2007
-
Glenn B. Infield, Il disastro di
Bari, Adda Editore, Bari, 1972
-
Scuola Media Statale “G. Pascoli Il recupero della memoria”, Lit. Minervini, Molfetta, 2003
-
Molfetta nostra
-
L’altra Molfetta
-
La Gazzetta del Mezzogiorno
-
Quindici
SITI INTERNET CONSULTATI
-
Www.guglielmominervini.net
-
Www.prolocomolfetta.it
-
Www.fondazioneanmig.com
-
Www.molfettesinelmondo.it
-
Www.laltramolfetta.it
-
Www.quindici-molfetta.it
-
Www.tazebao.info
-
Www.molfettalive.it
-
Www.reteccp.org
-
Www.biografiadiunabomba.it
INDICE
Presentazione
........................................................................... 1
Gli “Eredi della Storia”: Un associazione culturale di Molfetta .......... 1
PARTE I
................................................................................... 5
1. Uno sguardo al passato .......................................................... 5
1.1 Molfetta
nel ‘900
................................................................. 5
1.2 Il
centro storico
.................................................................. 10
1.3 Il
molfettese di un tempo
...................................................... 11
PARTE II
............................................................................... 13
2. Mar
comune, una città del sud
............................................. 13
2.1 L'autore ............................................................................ 13
2.2 "Una
città del sud": l'amore per la città
............................... 15
2.3 "Su chi
parte e chi resta": le due città
.................................. 17
2.4 "Sulla città senza qualità": degrado urbano e
perdita del passato
21
2.5" Sul profeta":
un eroe dei nostri tempi, don Tonino Bello
....... 24
2.6 "Mar
comune": passato e futuro della città
............................ 27
PARTE III
............................................................................. 30
3. Eredi della storia .................................................................. 30
3.1 Il
recupero della memoria
.................................................... 30
3.2 Il
museo scomparso
............................................................. 32
3.3 La
storia che risorge
............................................................ 34
3.4 Nascita
dell'associazione giovani "Eredi della storia"
............. 36
3.5 I
riconoscimenti
.................................................................. 38
PARTE IV
.............................................................................. 40
4. Le
associazioni che promuovonola la cultura e la stroria di Molfetta: associazioni combattentistiche e
culturali
40
4.1 Fondazione
A.N.M.I.G.
....................................................... 42
4.2 Associazione
Nazionale Combattenti e Reduci
......................... 42
4.3 L'istituto
Del Nastro Azzurro
................................................. 43
4.4 Università
Popolare Molfettese
............................................. 44
4.5 associazione molfettesi nel
mondo
........................................ 46
4.6 Associazione Pro Loco Molfetta ............................................ 51
PARTE
V
............................................................................... 53
5. Le attività dell'associazione: mostre e convegni dal 2001 ad oggi . 53
5.1 I
molfettesi nel Secondo Conflitto Mondiale (febbriao 2002)
... 54
5.2 I
molfettesi nella Grande Guerre (novembre 2002)
.................. 57
5.3 Una
storia mai scritta: le foibe (maggio 2004)
....................... 64
5.4 2
dicembre '43: il disastro di Bari
......................................... 67
5.5 Molfettesi nella guerra italo-turca 1911-1912 (novembre
2005)
.. 71
5.6 1900 - 1945: dalla microstoria alla macrostoria
(giugno 2006)
... 75
5.7 Altre
attività dell'associazione
.............................................. 80
5.7.1 Tornano le spoglie di Giovanni De Cesare
........................... 80
5.7.2 Riscoprire
tradizioni perdute
.............................................. 81
5.7.3 Intitolata
una via ai Caduti di Nassyria
............................... 82
5.7.4 Celebrazioni:
Il 2 Giugno A Molfetta
.................................. 83
5.7.5 Presentazione
del libro: "La mia Bonifica, storia di una guerra continua" (gennaio 2007)
85
5.7.6 Scoprta una lapide per il Sergente
Mastropierro
.................. 87
Conclusione
............................................................................ 89
Bibliografia
............................................................................ 91
Siti internet
............................................................................ 92
[1] S. Scardino, My Molfetta
[3] S. Magarelli, Don Tonino Bello servo di cristo sul passo degli ultimi
[4] S. Scardino, My Molfetta
[5] G. Minervini, Mar Comune
7 (S.Cilibrizzi, Storia parlamentare, politica e
diplomatica d’Italia. Dante Alighieri, Napoli)
8 (G. Salvemini, Come siamo andati in
Libia ed altri scritti, Feltrinelli, Milano 1963)
9 N. Amato e C. Minervini, Luigi Amato, uomo e soldato, Mezzana,
Molfetta)